Lino Banfi: «Soffro per la malattia di mia moglie, proprio ora che volevo godermi la vita con lei»

Venerdì 13 Luglio 2018 di Marco Pasqua
Giulio Scarpati, Lino Banfi e Mara Venier (Foto Fracassi/Toiati)

«Mia moglie, a volte, mi chiede come farò quando lei non sarà più in grado di riconoscermi. E io, per tranquillizzarla, le rispondo che ci ripresenteremo un’altra volta». Lino Banfi ha appena spento le candeline numerate sulla torta: è il primo compleanno che festeggia nel ristorante di “famiglia”, a Roma, nel quartiere Prati, accanto alla figlia Rosanna e al figlio, Walter, insieme al carico di nipoti e amici.



Alla sua sinistra, è seduta la donna più importante della sua vita: quella Lucia Zagaria che ha sposato nel 1962, dopo dieci anni di fidanzamento, con un matrimonio osteggiato dalla famiglia di lei e celebrato di nascosto. Un amore indissolubile, anche – e soprattutto – adesso che l’attore pugliese si trova a dover convivere con la malattia della sua Lucia.

«Non riesco ad accettarla – dice, seduto nella sala dell’Orecchietteria aperta 9 mesi fa – Non accetto che mia moglie non stia bene, in un momento in cui mi sarei voluto godere la mia vita accanto a lei».

Al tavolo del festeggiato, nel giorno dell’82esimo compleanno, sono seduti tra gli altri l’amica Mara Venier (che dai tempi di Al bar dello Sport lo chiama sempre “Lillino mio”) e Giulio Scarpati, suo figlio televisivo in Un medico in famiglia, autore di uno struggente testo in cui ha raccontato la malattia della mamma. «Con Giulio c’è un rapporto speciale, quasi tra padre e figlio: lui a volte mi dà dei consigli per mia moglie», confida Banfi, che racconta anche di essersi rivolto ad uno psicoterapeuta del Campus Bio-Medico: «Ho chiesto come dovermi comportare con Lucia, per non ferirla, per gestire al meglio la sua condizione».

«Oggi sta bene – spiega l’interprete di tanti film cult, che hanno fatto la storia del cinema italiano – È sorridente, mi riconosce, anche se sa bene quale può essere la sua strada. E io non riesco a rassegnarmi, ora che ci dovevamo godere insieme la vecchiaia». «Io mi sento di avere la mente fresca di un trentenne – dice di sé il protagonista di Vieni avanti cretino e L’allenatore nel pallone – Tanti attori, molto più giovani di me, mi invidiano la memoria. E poi ho una salute di ferro: non ho mai preso una pillola in vita mia: il colesterolo e i trigliceridi sono perfetti».

LA RABBIA
E questo nonostante gli stravizi gastronomici: «Mangio porcherie, cose che mi fanno male: a volte lo faccio perché non so che fare della rabbia. Prima di venire al mio compleanno, ho mangiato gorgonzola, mascarpone e bevuto champagne: una cosa da mille calorie a cucchiaino. L’ho fatto apposta per farmi del male». In sala si vede anche Massimo Ferrero: «Per me sei un mito», dice il produttore e dirigente sportivo, che ricorda anche di quando Banfi lo minacciò, per gioco (ma non troppo...), sul set di un film: «Mi riprese perché avevo fatto gli occhi dolci alla figlia Rosanna».

E mentre Nonno Libero aspetta ancora che la Rai decida se far iniziare le riprese de un Medico in Famiglia 11 («Almeno me lo facciano sapere: invece che farla di 13 puntate, siamo disponibili anche a farne 5. Ma mi diano una risposta, perché mi fermano in continuazione per strada per sapere che ne sarà della serie»), dice di non vedere suoi eredi: «Forse Checco Zalone, anche se ha una comicità più sofisticata della mia. Ma visto che non mi piacciono, come potrebbe esserci un erede di qualcuno che non amo?».

Ce l’ha con molti critici cinematografici, che lo hanno sempre considerato interprete di pellicole di serie B, e non ispiratore di generazioni intere, con sketch che girano ancora oggi sui social: «Tanti di questi esperti si sono pentiti – racconta – come i mafiosi. Qualcuno è venuto da me e mi ha confidato che andava a vedere i miei film di nascosto ma che non aveva il coraggio di recensirli bene». Nella sua casa romana, custodita con gelosia, c’è una lettera che Federico Fellini gli ha fatto recapitare due anni prima della sua scomparsa: «Mi ha scritto che non sarebbe mancata occasione di lavorare insieme, perché ero bravo. Ecco: se una missiva del genere fosse arrivata a Nanni Moretti, lo avrebbero saputo fino in Thailandia. Io me la sono sempre tenuta per me, perché sono mi considero una persona schiva. E poi perché non amo i clan, come quello dei David di Donatello. Non devono esistere questi clan, perché gli attori devono fare gli attori e basta. Penso che se mi chiamassero a consegnare un premio a un attore che stimo molto come Silvio Orlando, durante i David, lui non ne sarebbe felice, perché vorrebbe riceverlo da persone come Pupi Avati».

LA POLITICA
Il giorno prima della sua festa ufficiale, nell’Orecchietteria si è presentato anche Luigi di Maio. «Aveva un mazzo di fiori in mano ed è venuto perché non poteva prendere parte al mio compleanno – ricorda – A me dei partiti non è mai importato nulla e mi è dispiaciuto che molti dei soliti odiatori, che io odio, abbiano detto che io fossi salito sul carro del vincitore. Ma cosa avrei dovuto fare? Di Maio sapeva a memoria le battute dei miei film».

Di sogni nel cassetto ne ha due: oltre ad esportare all’estero il suo marchio gastronomico di qualità “Bontà Banfi” («spero di arrivare in Australia e in Canada, dove ho tanti fan»), vorrebbe diventare cattivo, ma solo per fiction: «La gente godrebbe nel vedermi strozzare qualcuno. Ecco: sogno una scena in cui taglio la gola a una persona».

Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 05:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA