Licenziata perché batteva gli scontrini in ritardo, reintegra e 50 mila euro per una cassiera

E' successo a Fiuggi, la lavoratrice ora ha la facoltà di rinunciare alla reintegra in cambio del pagamento di ulteriori 15 mensilità, ossia di ulteriori 60 mila euro

Sabato 18 Marzo 2023 di Vincenzo Caramadre
Licenziata perché batteva gli scontrini in ritardo, reintegra e 50 mila euro per una cassiera

Aveva dimenticato di fare alcuni scontrini e per questo l'azienda dopo l'iniziale contestazione l'aveva licenziata in tronco, ma il giudice ha annullato il provvedimento reintegrandola sul posto di lavoro. Il caso riguarda una dipendente di un esercizio commerciale, con mansioni di cassiera, che aveva ritardato la battitura degli scontrini fiscali senza, però, appropriarsi degli importi incassati. Il giudice ha ritenuto che la lavoratrice non andava licenziata, ma al massimo sanzionata. La decisione è arrivata dal tribunale di Frosinone che ha accolto, nei giorni scorsi, il ricorso di una lavoratrice (assistita dall'avvocato Giorgio De Santis), che era stata licenziata da una società multinazionale con un punto vendita a Fiuggi. Le sono stati riconosciuti 50 mila euro, oltre alla regolarizzazione contributiva previdenziale ed assistenziale. La lavoratrice ora ha la facoltà di rinunciare alla reintegra in cambio del pagamento di ulteriori 15 mensilità, ossia di ulteriori 60 mila euro.

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LA RICOSTRUZIONE

La società aveva accertato che la dipendente, in alcune occasioni, non aveva battuto gli scontrini fiscali, ogni volta, però, sebbene in un secondo tempo ma nella stessa giornata, provvedeva, in modo che nessun ammanco di cassa veniva a determinarsi.

Per questo le aveva prima contestato l'addebito e, poi, nel maggio dello scorso anno, l'aveva anche licenziata in tronco, non accogliendo le giustificazioni rese dalla dipendente. Secondo la società, infatti, la condotta contestata era, in ogni caso, idonea a minare irreparabilmente il rapporto di fiducia e portava al recesso immediato della lavoratrice. Una tesi della multinazionale che era stata fortemente contestata dalla lavoratrice che, dopo aver impugnato in via stragiudiziale il licenziamento in tronco comminatole dal datore di lavoro, aveva depositato dinanzi al Tribunale di Frosinone un ricorso, in cui aveva esposto le proprie ragioni. L'avvocato De Santis ha sostenuto, nel dettaglio, che qualora non si sia in presenza di una fattispecie di appropriazione indebita e, così di una omessa scontrinatura del dipendente al fine di appropriarsi degli importi di cui agli scontrini non battuti, non ricorrono i presupposti per intimare il licenziamento, potendo, al più, il dipendente ricevere un provvedimento disciplinare di tipo conservativo.

LA DECISIONE 

Ed a questa tesi ha aderito appieno il Tribunale, che, dopo aver attentamente esaminato la previsione del contratto collettivo applicato al caso in esame, ha ritenuto non «sussistenti gli estremi del licenziamento», pur ritenendo accertato il fatto posto a base del recesso. Inoltre, anche in questo caso aderendo alle tesi giuridiche del legale della donna, il giudice, nel dichiarare l'illegittimità dell'impugnato licenziamento disciplinare, ha ritenuto ricorrenti gli estremi per la reintegra ed il risarcimento del danno pari a tutte le mensilità decorrenti dal recesso alla reintegra, nonostante oggi sia del tutto ridotto, dopo la riforma Fornero, lo spazio per la reintegra, in caso di licenziamento ritenuto illegittimo.
 

Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 19:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA