San Lorenzo, il quartiere universitario di Roma appoggiato alle mura aureliane di Porta Tiburtina e noto per la sua vita notturna spesso fuori controllo, alla sera oramai è irriconoscibile.
La sera San Lorenzo è ferma. C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno: «almeno ci si riposa» – il silenzio qui è effettivamente roba rara, a lungo auspicato da molte famiglie che nel corso del tempo si sono riunite in comitati di protesta contro gli schiamazzi e le cretine tracce d’immondizia della movida notturna. Eppure, il sentimento più diffuso sembra proprio quello della perdita. Già dalla mattina: la scomparsa dei gruppetti di studenti che facevano colazione coi libri aperti, delle fotocopie degli appunti scarabocchiati, delle ultime ripetizioni a voce alta prima degli esami, degli zaini, delle sacche coi loghi delle università, delle mode esasperate e divertenti, delle tante voci sfumate dai dialetti attorno ai bar. All’ora di pranzo lo stesso senso di vuoto: svanite le file davanti ai forni e le pizzerie, niente più panini finiti a metà nei sacchetti zozzi d’olio, scomparso il risiko disordinato dei caffè sui bordi dei tavolini neri di via Tiburtina. E soprattutto, ancora una volta, pochissimi giovani.
Ma è alla sera che questo sentimento di perdita si concretizza e intristisce. Così questo quartiere non lo si era mai visto, nemmeno nei periodi più bui della crisi economica, nemmeno a seguito delle diverse ordinanze anti movida che si sono susseguite negli anni, con divieti e restrizioni d’ogni tipo. A pagarne il prezzo più alto sono ovviamente coloro che hanno investito nelle attività di ristoro, che qui a San Lorenzo sono state fidelizzate nel tempo dai tantissimi studenti, giovani lavoratori e famiglie, che a partite dagli anni ’60 hanno fatto di questo quartiere – con tutti i sui limiti e difficoltà – una delle ultime zone centrali di Roma ancora accessibili dal punto di vista economico.