Sparatoria a Las Vegas, la strage delle donne, dalla poliziotta alla cheerleader: ecco chi sono le vittime

Martedì 3 Ottobre 2017 di Luis Cortona
Sparatoria a Las Vegas, la strage delle donne, dalla poliziotta alla cheerleader: ecco chi sono le vittime
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Erano più di ventimila, ed erano arrivati a Las Vegas da ogni parte degli Stati Uniti, e oltre, per passare una serata di divertimento, musica e compagnia. Cappelli da cowboy, camicie a quadrettoni, come nella migliore tradizione country. Poi, all'improvviso, gli spari, il panico, la morte. Le identità delle 59 vittime della strage compiuta da Stephen Paddock nella notte tra domenica e lunedì iniziano a circolare, e parlano di un massacro che non fa distinzioni tra età, provenienze e ceti sociali. 

Sonny Melton è stato il primo a essere identificato, e il suo volto è già diventato un simbolo dell'innocenza di fronte alla follia: 29 anni, viveva a Big Sandy, in Tennessee. Si trovava a Las Vegas con la moglie, Heather Melton, che ha salvato dai proiettili che arrivavano dall'alto: «Mi ha fatto da scudo, mi ha salvato la vita», ha detto la donna alla WZTV. Infermiere lui, chirurgo ortopedico lei, entrambi lavoravano all'ospedale Henry County: «I nostri pensieri e preghiere sono per loro», ha detto il direttore del centro medico Thomas Gee.



Jordan McIldoon era arrivato appositamente dal Canada, dalla Columbia Britannica, per partecipare al Route 91 Harvest Music Festival. Ventitre anni, la sua morte è stata confermata da un amico su Facebook. «Avevamo soltanto un figlio, adesso non sappiamo cosa fare», hanno detto i genitori in lacrime. 

Bailey Schweitzer lavorava come receptionist in una compagnia di software a Bakersfield, in California.

Aveva solo vent'anni. «Era il raggio di sole nel nostro ufficio. Nessuno poteva avere una cattiva giornata, se c'era lei in giro», così la descrive Fred Brakeman, il titolare dell'azienda.

Jennifer Irvine era un avvocato e aveva preso un paio di giorni di vacanza per poter assistere al Route 91. «Sono una tenace civilista», si descriveva nel suo sito personale, in cui parlava dei suoi molti interessi: il taekwondo, lo toga, lo snowboard e le arrampicate. 

Dana Gardner, 52 anni, lavorava come impiegata negli uffici della contea di Clark, gli uffici amministrativi di Las Vegas. È morta in ospedale, fatali le sono state le ferite inflitte dagli spari di Paddock. Era andata al concerto con cinque colleghi, anche loro feriti. 

Jessica Klymchuk invece arrivava da Edmonton, in Canada. La città dove - macabra coincidenza - sabato notte un uomo si è lanciato con un camion sulla folla, causando 5 feriti. Klymchuk lavorava come assistente per una scuola locale, e si era presa qualche giorno di riposo per assistere al concerto in Nevada insieme al fidanzato. 

Non aveva fatto tanta strada invece Quinton Robbins, che viveva e studiava a Las Vegas. «Era un'anima gentile, Tutti lo amavano», ha scritto su Facebook la zia. Quinton è il primo residente nella città identificato tra le vittime.



Jenny Parks era una maestra d'asilo californiana, ed è stata uccisa mentre assisteva al concerto insieme al marito. Anche lui è rimasto gravemente ferito a un braccio. «Era davvero una delle persone più belle che potevi incontrare», ha detto di lei lo zio del marito, Steven McCarthy.

Neysa Tonks abitava a Las Vegas con i suoi tre figli. La società informatica per cui lavorava, la Technologent, ha lanciato una raccolta fondi per i suoi tre bambini, raccogliendo già più di 60mila dollari. 

Rhonda LeRocque aveva attraversato tutti gli Stati Uniti per arrivare a Las Vegas. Originaria di Tewksbury, Massachussets, aveva deciso di partire e assistere al festival country con il marito, Jason, finché un proiettile l'ha colpita dietro la testa. 


Denise Burditus, 32 anni, aveva due figli. A dare l'annuncio della sua morte è stato il marito, Tony Burditus, con un messaggio commosso su Facebook: «Ho perso mia moglie nella strage di Las Vegas, Denise è morta tra le mie braccia»

Sandy Casey era una maestra di 35 anni. Aveva convinto un gruppo di colleghi ad accompagnarla al festival country, da Redondo Beach, in California. Sono stati proprio loro ad avvertire i genitori e il futuro marito della sua morte.

Rachael Parker viveva a pochi minuti di macchina da Sandy Casey, anche se le due donne non si conoscevano. Da dieci anni lavorava nel dipartimento di polizia di Manhattan Beach, dove era impegnata in un'intensa attività di volontariato. 

Angela Gomez è stata identificata con un controllo incrociato del database della scuola dove si era diplomata due anni fa, la Riverside Polytechnuic high school in California. «Era una giovane donna con un gran senso dell'umorismo», la descrivono i vertici del liceo, dove era stata cheerleader.



È morto sotto gli occhi del suo migliore amico Adrian Murfitt, nonostante i tentativi dei medici di rianimarlo. Trentacinquenne, Murfitt lavorava come pescatore di salmoni in Alaska. Era appassionato di hockey e del suo cane, Paxson, un husky. Dopo aver lavorato tutt al'estate aveva comprato i biglietti per sé e due amici d'infanzia. Lo sparo l'ha colpito nel collo. 

Aveva 53 anni Susan Smith, segretaria amministrativa di una scuola elementare californiana. Susan aveva due figli, e lavorava alla Visa Elementary School da 16 anni. 

Anche Lisa Romero-Muniz lavorava in una scuola. Segretaria pure lei, ma a Gallup, in New Mexico. «Era un'amica incredile e sincera per tutti gli studenti. Come collega, si prendeva a cuore tutti», ha detto su Facebook una persona che lavorava con lei. Moglie, mamma e nonna, Romero Muniz e il marito erano a Las Vegas per festeggiare il loro anniversario di matrimonio. 

John Phippen aveva accompagnato al Route 91 con il figlio Travis. Lo sparo l'ha colpito alla schiena, «l'ho visto accasciarsi, ma non ho realizzato subito, poi l'ho portato all'ospedale con la macchina, e lì è morto». Nel caos della strage, Travis non si è accorto di essere ferito anche lui fin quando non è arrivato in ospedale. Mentre lo medicavano gli è arrivata la notizia. «Era il mio migliore amico, era sempre gentile con me».


Scampato alla guerra in Afghanistan, ma non alla pazzia dell'America profonda. Chris Roybal stava festeggiando nella città dei casinò il suo compleanno insieme alla madre. A luglio aveva scritto un messaggio su Facebook, in cui descriveva la sensazione che provava durante i combattimenti, quando il nemico sparava. «Non era mai paura, ma confusione, più che altro. Tutti i sensi in sovraccarico, seguiti dalla più alta quantità di adrenalina che possa immaginare. Quando la battaglia continua l'eccitazione se ne va, e rimane solo la rabbia».

Come quella di Stephen Paddock, come quella dell'America tutta, che piange in queste ore 59 vite che se ne vanno. Persone normali, donne soprattutto, che la rappresentano in lungo e in largo. Erano lì per divertirsi, hanno trovato la morte. «Com'è quando ti sparano? È un incubo da cui nessuna droga e nessuna ubriacatura ti faranno scappare»: l'ultimo messaggio di Chris, ora, sembra una macabra premonizione.

Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 09:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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