L'Iran che venerdì va alle urne per scegliere il nuovo presidente è arrivato ad arricchire l'uranio al 63% e, «se necessario», è pronto a scavalcare «immediatamente» anche questa soglia record.
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Già toccato secondo l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) il mese scorso per le «fluttuazioni» nell'impianto di Natanz, il nuovo picco di arricchimento supera l'obiettivo dichiarato del 60%, già lontanissimo dal tetto del 3,67% fissato dall'intesa del 2015 (Jcpoa). Un limite cui Teheran si dice comunque pronto a tornare in caso di intesa sulle sanzioni. «Gli Stati Uniti e gli europei dovrebbero sapere che l'Iran non cerca l'energia nucleare per produrre armi nucleari. Miriamo a sviluppare la nostra potenza nucleare, aerospaziale e missilistica per rafforzare l'industria del Paese. Non siamo alla ricerca di guerre e tensioni, ma non ci inchineremo ai nemici», ha ribadito il capo del governo, che resterà in carica per alcune settimane dopo il voto e l'eventuale ballottaggio del 25 giugno, previsto in assenza di una maggioranza assoluta, fino all'insediamento del successore.
Fuori gioco per il raggiungimento del limite dei due mandati consecutivi, secondo i sondaggi Rohani cederà il testimone all'attuale capo della magistratura, il 60enne ultraconservatore Ebrahim Raisi, uomo di fiducia della Guida suprema Ali Khamenei, che 4 anni fa sconfisse nelle urne. Stavolta, però, è lui il favorito, anche per i veti del Consiglio dei guardiani alle candidature dei suoi più accreditati sfidanti moderati e riformisti. Una presidenza che per Raisi potrebbe anche essere l'anticamera dell'eredità dell'82enne Khamenei.
Gli oltre 59 milioni di iraniani chiamati alle urne si ritroveranno così con una scelta limitata a 7 candidati, tutti uomini, di cui 5 conservatori, su una lista iniziale di quasi 600 aspiranti. Una stretta che rischia di gettare benzina sul fuoco dell'astensionismo, dopo il record negativo del 57% alle legislative dello scorso anno. Temendo un contraccolpo per il sistema, i vari schieramenti hanno lanciato in questi giorni appelli alla partecipazione, facendo leva sull'orgoglio nazionale - il boicottaggio, ha detto Khamenei, farebbe il gioco dei «nemici dell'Iran» - e sulle aspettative dei giovani che potranno votare per la prima volta, quasi un milione e mezzo.
Ma la sfiducia è alimentata dalla grave crisi economica, legata all'isolamento internazionale, e dalle drammatiche conseguenze della pandemia, con appena 5 milioni di vaccinazioni su 83 milioni di abitanti. E a pesare è anche la repressione delle proteste degli ultimi anni, che potrebbe farsi più dura sotto un presidente come Raisi, procuratore a Teheran durante le esecuzioni di massa degli oppositori di sinistra alla fine degli anni Ottanta.