L'Australia rimuove le videocamere di sorveglianza prodotte in Cina dagli edifici governativi: «Rischio per la sicurezza nazionale»

Il governo di Canberra ha paura possa trattarsi di dispositivi-spia

Giovedì 9 Febbraio 2023
L'Australia rimuove le videocamere di sorveglianza prodotte in Cina dagli edifici governativi: «Rischio per la sicurezza nazionale»

Il governo australiano ha deciso di mettere al bando le videocamere di sorveglianza made in Cina dai suoi edifici.

Lo ha annunciato ieri il primo ministro della difesa australiano Richard Marles, ai microfoni dell'emittente locale ABC Radio, affermando che i dispositivi in questione potrebbero rappresentare un potenziale rischio per la sicurezza nazionale.

«Non possiamo sapere con certezza se le informazioni, le immagini e l'audio sensibili registrati da questi dispositivi non vengano segretamente trasmessi in Cina contro gli interessi dei cittadini australiani», ha dichiarato il ministro della Cybersicurezza australiano, James Paterson, che ha richiesto alle autorità del Paese il sequestro delle videocamere per effettuare alcune verifiche. 

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Le due compagnie cinesi colpite dal provvedimento emesso dall governo australiano sono Hikvision e Dahua, entrambe partecipate dal governo di Pechino. Insieme hanno fornito almeno 913 dispositivi tra telecamere, citofoni, sistemi di accesso elettronico e videoregistratori, a oltre 250 edifici governativi australiani. 

Con questa mossa l'Australia si colloca sulla scia di Stati Uniti e Regno Unito, che nel novembre 2022 hanno adottato una serie provvedimenti simili, mettendo di fatto al bando l'installazione di sistemi di videosorveglianza cinesi dai siti considerati sensibili.

In particolare Washington, ha vietato la vendita e l'importazione di questo genere di apparecchiature da almeno cinque diverse società cinesi, tra cui Hickvision e Dahua.

La reazione cinese

In una conferenza stampa a Canberra il primo ministro australiano Anthony Albanese non si è detto preoccupato che la decisione di ieri possa danneggiare le relazioni diplomatiche con Pechino. 

Ma Hikvision non visto di buon occhio il provvedimento e ha definito «categoricamente infondati» i timori che i suoi dispositivi possano in qualche modo essere utilizzati da Pechino per rubare informazioni e dati sensibili. 

«Nessuna istituzione o valutazione tecnica che si rispetti è mai giunta a questa conclusione», ha affermato un portavoce della compagnia cinese, che ha dunque escluso ogni possibilità di accedere ai dati video degli utenti finali e quindi di non poterli trasmettere a terzi. D'altro canto, i rappresentanti di Dahua non si sono ancora pronunciati in merito alla vicenda. 

«Speriamo che l'Australia crei un ambiente di mercato equo, giusto e non discriminatorio per le le imprese cinesi», ha dichiarato invece Mao Ning, portavoce del ministero degli esteri del Dragone. 

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Il precedente

Non è la prima volta che l'Australia diffida della tecnologia cinese. Già nel 2018, i timori della possibile presenza di software di spionaggio avevano spinto il governo di Canberra a bandire i dispositivi targati Huawei dalla sua rete 5G, scatenando l'ira di Pechino e della compagnia con base a Shenzhen.

La Repubblica Popolare rispose con un innalzamento delle tariffe d'importazione su diversi prodotti australiani, tra cui vino e aragoste. 

In seguito i rapporti diplomatici tra Canberra e Pechino si sono lentamente distesi, salvo poi incrinarsi nuovamente quando il governo australiano ha chiesto alla Cina di svolgere un'indagine indipendente sulle origine della diffusione del Coronavirus alla fine del 2019. La richiesta era stata però respinta da Pechino.  

Ultimo aggiornamento: 12:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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