Città del Vaticano – Per i serbi (ortodossi) quel cardinale resta un demonio.
«Chiederò un incontro con i vertici della Chiesa ortodossa serba. Spero di risolvere la questione con il dialogo» ha fatto sapere l'arcivescovo cattolico di Belgrado Stanislav Hocevar. La questione chiama in causa direttamente il nuovo patriarca serbo Porfirije.
Della questione verrà investito anche il nunzio apostolico in Serbia, monsignor Luciano Suriani. «Come è possibile che un tempio cristiano mandi qualcuno all’inferno – cosa di cui non osa parlare tutta la Chiesa?» ha continuato Hocevar in un comunicato ufficiale.
L'affresco della discordia si trova nella chiesa ortodossa dedicata a San Giovanni teologo, nella cittadina Bela Crkva, nella regione Vojvodina della Serbia. La chiesa è stata incendiata quattro anni fa e ristrutturata ma il fatto della presenza di un cardinale all’inferno, sicuramente Stepinac, è uscito in questi giorni.
Non c'è proprio pace per il cardinale croato (1898-1960) che ha guidato la chiesa cattolica in Croazia prima sotto l'occupazione nazista, il terribile regime degli ustascia e poi sotto il comunismo, finendo lui stesso in carcere. Papa Wojtyla lo ha voluto proclamare beato e martire per il coraggio e per la sua fede incrollabile. Papa Francesco, invece, ha rallentato il percorso della canonizzazione spiegando che la sua figura presenta ancora tanti punti oscuri da chiarire. Di fatto il cardinale croato resta una figura che divide profondamente croati e serbi e sulla quale c'è un veto insormontabile da parte del patriarcato ortodosso di Serbia. E' stata persino istituita una commissione mista tra cattolici e ortodossi incaricata di fare luce su tutti i passaggi storici ma evidentemente dovrà studiare ancora il caso, perchè ad oggi non è arrivata a nessun risultato condiviso.
Nel 1998 Giovanni Paolo II ha proclamato beato il defunto arcivescovo di Zagabria. L’iter seguito era stato quello di un martirio. Già allora diversi esponenti del mondo politico serbo e le autorità della Chiesa ortodossa manifestarono profonda contrarietà. Nel 2013 la Congregazione per le Cause dei Santi aveva riconosciuto un miracolo per la proclamazione a santo ma il defunto primate della Chiesa ortodossa serba, sostenuto dalle autorità di Belgrado, scrisse a Papa Francesco chiedendo di bloccare tutto e promuovere una commissione storica formata da serbi e da croati.
Recentemente è uscito un monumentale volume storico del professore Pier Luigi Guiducci, docente di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense di Roma nel quale inquadra storicamente la cornice in cui si sono svolti i fatti legati all'attività di Stepinac.
Il regime filo nazista di Pavelić crollò nel 1945 per l’incalzare del generale Tito (1892-1980). Con l’avvento dei comunisti si verificarono una serie di eventi che riguardarono aspetti repressivi e forti criticità con la Chiesa cattolica. L’arcivescovo di Zagabria, Stepinac, venne accusato di collaborazionismo e di aver sostenuto un’opposizione anti-statale al nuovo governo comunista. Per questo motivo il presule fu condannato a sedici anni di lavori forzati, e alla privazione dei diritti politici e civili per la durata di cinque anni. In seguito, la prigionìa venne tramutata nel domicilio coatto. Stepinac morì nel 1960 per ostruzione di alcuni tratti dell’arteria polmonare causata da trombi mobili (alcuni sospettano anche un possibile avvelenamento).
Il professor Guiducci nel libro, attraverso fonti dirette, ritiene che politicamente Strepinac respinse in modo deciso la dottrina hitleriana della razza, del sangue, della superiorità ariana. Stepinac non approvò nemmeno l’ingerenza mussoliniana sulle vicende croate, e soprattutto condannò di fatto l’occupazione italiana di territori croati. Verso Pavelić e nei confronti del movimento ustaša la posizione dell’arcivescovo Stepinac non si configurò affatto come adesione.
«La stampa del tempo – spiega nel libro il professor Guiducci - manipolò vistosamente l’informazione riguardante i rapporti Stepinac-Pavelić (facendoli sembrare ottimi), ma la documentazione storica fornisce in realtà dei dati profondamente diversi: tanto che Pavelić cercò di far allontanare Stepinac da Zagabria perché condannò la politica razziale, le operazioni sanguinarie, i campi di concentramento, le condanne a morte senza regolari processi, gli arresti immotivati. Quando venne riaperto un sedicente parlamento l’arcivescovo volle sedersi nel banco dei visitatori. Pur di salvare gli ortodossi l’arcivescovo evidenziò eccezioni a quanto prescriveva il codice di diritto canonico. In pratica, gli ortodossi potevano passare alla Chiesa cattolica (Pavelić li stava obbligando con propria decisione) e, a fine conflitto, potevano tornare nella Chiesa ortodossa. Tuttavia vi erano alcuni vescovi, sacerdoti e religiosi (specie francescani) che sostennero il regime ustaša e si verificarono delle realtà criminose che videro anche (a vario titolo) la presenza di persone consacrate».
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