Kursk, 20 anni fa la tragedia del sottomarino russo: 118 vittime e tante domande senza risposta

Mercoledì 12 Agosto 2020
Kursk, 20 anni fa la tragedia del sottomarino russo: 118 vittime e tante domande senza risposta

Venti anni fa, il 12 agosto del 2000,  il sottomarino russo K-141 Kursk affondò nel mare di Barents, a nord della Russia, a causa di due esplosioni durante un’esercitazione militare. Morirono tutti i 118 membri dell’equipaggio: la maggior parte poco dopo l’esplosione, mentre almeno 23 tra ufficiali e marinai morirono invece per asfissia alcune ore dopo che il sottomarino Kursk era affondato sul fondo del mare, a oltre 100 metri di profondità e circa 150 chilometri dalla base di Severomorsk, in Russia.

Il K-141 Kursk era un sottomarino a propulsione nucleare della Flotta del Nord appartenente alla classe Oscar,  entrato in servizio nel 1995 presso la base di Severomorsk, era in grado di trasportare e lanciare missili a testata nucleare.  Il 12 agosto il sottomarino era impegnato nel Mare di Barents in un'esercitazione militare navale nella quale avrebbe dovuto lanciare dei siluri da esercitazione (senza carica esplosiva) contro l'incrociatore nucleare, classe Kirov, Pjotr Velikij  Alle 11,28 locali furono lanciati dei siluri di prova, ma subito dopo vi fu un'esplosione, presumibilmente di uno dei siluri del Kursk, all'interno o nei pressi del sottomarino. A causa delle lesioni allo scafo dovute alla esplosione il sottomarino si adagiò sul fondo a 108 metri di profondità. Una seconda esplosione avvenne all'interno dello scafo 135 pochi secondi dopo la prima.



 

Le domande

Ancora oggi non si sa quanti fossero i membri dell’equipaggio e quanto tempo alcuni di loro sopravvissero nel sottomarino. Solo due giorni dopo l'esplosione il governo russo diede notizia dell'incidente. I primi soccorsi al Kursk arrivarono con alcuni giorni di ritardo, a causa di difficoltà tecniche e per via dell’iniziale rifiuto da parte del governo russo di accettare aiuti stranieri.


Il 21 agosto Mikhail Motsak, comandante della Flotta Nord della marina militare russa, comunicò che a bordo del Kursk non c’era nessun sopravvissuto.  Non è ancora chiaro cosa provocò le esplosioni, alla prima seguì una seconda 40 volte più potente. La maggior parte delle 118 persone a bordo del Kursk morirono subito; almeno 23 riuscirono a rifugiarsi nella parte posteriore del Kursk, evitando la morte per annegamento.

L’onda sismica della seconda esplosione fu percepita dai sismografi della regione, in cui si trovavano anche sottomarini stranieri, e fu rilevata fino in Africa. Per 48 ore la Russia non spiegò l’accaduto e ci mise circa 15 ore per determinare la posizione del Kursk sul fondo del mare, e altre 15 per far partire il primo tentativo di salvataggio. La Russia tentò inutilmente alcune operazioni di salvataggio e soltanto il 17 agosto, cinque giorni dopo l’affondamento, accettò l’aiuto offerto dal governo britannico e da quello norvegese. Il 19 agosto la nave norvegese Normand Pioneer – che trasportava il batiscafo britannico LR5 – arrivò nelle acque in cui si trovava il Kursk. Dopo vari tentativi alcuni si riuscì a raggiungere il Kursk, accertando la morte dell’intero equipaggio. Nell’ottobre del 2001 una parte del sottomarino fu recuperata dal fondo del mare e trasportata alla base navale di Roslyakovo, in Russia. Un’altra parte rimase sul fondo del mare e lì fu distrutta dalla Russia: secondo il governo russo fu distrutta perché lasciarla lì o tentare di spostarla sarebbe stato pericoloso; secondo altri il governo russo lo fece per evitare che altre nazioni avessero informazioni sui suoi sottomarini. 


 

L'inchiesta

L'inchiesta sull'affondamento del sottomarino russp si concluse nel giugno del 2002: il procuratore generale Vladimir Ustinov diede la colpa dell’incidente a un siluro difettoso e non individuò nessun responsabile.
Ustinov disse che quello all’interno del Kursk c’era stato un “inferno” e spiegò che i 23 membri dell’equipaggio sopravvissuto alle esplosioni morirono dopo circa otto ore, soffocati dal monossido di carbonio: «Quelli che pensano che c’era una possibilità di salvare i nostri marinai devono sapere che quella possibilità non è mai esistita». Restano molte domande su modi e tempi dell’affondamento e della morte dei 23 sopravvissuti alle esplosioni. Negli anni si sono anche sviluppate diverse teorie alternative e complottistiche: una di queste, riportata nel 2005 dal Corriere della Sera, sostiene che il Kursk fu colpito da un siluro lanciato da un sottomarino statunitense. L’affondamento del Kursk fu  una delle prime difficili prove che dovette affrontare Vladimir Putin, che allora era presidente russo da pochi mesi.

Ultimo aggiornamento: 14:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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