Putin taglia il petrolio all'Europa e lo vende in Asia. Ma la Cina non si fida (e lo compra a prezzi stracciati)

Le nuove sanzioni europee complicheranno anche l'export verso paesi terzi e non è detto che Pechino voglia legarsi troppo a Mosca

Martedì 11 Ottobre 2022 di Fausto Caruso
Putin taglia il petrolio all'Europa e lo vende in Asia. Ma la Cina non si fida (e lo compra a prezzi stracciati)

«Non volete più il mio petrolio? Benissimo! Lo venderò altrove». Con un piccolo sforzo immaginativo si riesce a visualizzare il presidente russo Vladimir Putin che attacca il telefono in faccia alla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen pronunciando queste parole sdegnose. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina l’esportazione di petrolio dalla Russia verso l’Europa è scesa del 60%, ma la crescita delle vendite ai paesi asiatici ha fatto sì che l’export russo di greggio sia addirittura in crescita rispetto all’anno scorso. Putin sta quindi vincendo e si fa beffe di noi insieme alla Cina? Non esattamente.

 

La crescita dei prezzi e i blocchi europei

Dallo scoppio della guerra le esportazioni russe di combustibili fossili verso l’Europa sono crollate, ma l’aumento dei prezzi ha fatto sì che Putin potesse addirittura vantare un surplus commerciale con cui continuare a finanziare il conflitto, argomento spesso usato dai filorussi occidentali per spingere i governi ad abolire le sanzioni. Quello che va messo in chiaro, però, è che le mosse dello zar sono servite ad allentare la morsa economica dell’Occidente solo in un primo periodo. Entro l’inizio dell’anno prossimo l’Unione Europea cesserà quasi del tutto l’importazione di petrolio russo (con alcune eccezioni, tra cui l’Ungheria che avrà un anno in più), ma non solo. Con l’ottavo pacchetto di sanzioni approvato lo scorso 6 ottobre «Sarà vietato – si legge sul sito della Commissione Ue – fornire trasporto marittimo e prestare assistenza tecnica, servizi di intermediazione, finanziamenti o assistenza finanziaria connessi al trasporto marittimo verso paesi terzi di petrolio greggio (dal dicembre 2022) o di prodotti petroliferi (dal febbraio 2023) originari della Russia o esportati dalla Russia» se tali prodotti saranno acquistati a un prezzo superiore al price cap che verrà stabilito in sede europea. Questo ridurrà drasticamente gli introiti russi o renderà molto più difficile vendere a paesi come l’India: senza i vettori europei, infatti, il petrolio russo impiegherebbe dieci volte di più a raggiungere le raffinerie indiane. La Russia minaccia di non vendere a chi parteciperà al price cap, ma questa mossa dell’Europa fa sì che acquirenti extraeuropei come Turchia, Cina e India abbiano molto più potere contrattuale.

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Allo stesso tempo il calo dei prezzi del gas e l’eventuale imposizione di un price cap europeo anche in questo campo taglierà un’altra fonte di introiti per Mosca.

La maggior parte di gasdotti russi è diretto verso l’Europa e il Cremlino, complici anche le sanzioni, non ha le tecnologie per liquefare il gas e stoccarlo in attesa di trovare un altro acquirente ed è quindi costretto a bruciarlo.

 

Il ruolo della Cina: amici ma fino a che punto?

A lanciare l’ancora di salvezza all’amico Putin è stato il presidente cinese Xi Jinping. Un’analisi del New York Times sottolinea che se da gennaio l’importazione di combustibili fossili da parte della Cina nel complesso è diminuita, anche a causa degli stop produttivi dovuti alla politica zero covid di Pechino, gli acquisti di gas e petrolio dalla Russia sono cresciuti. Buon per Putin? La risposta è: per ora. La Cina sta comprando i combustibili russi a prezzi scontati e se Mosca fosse costretta a stringersi sempre di più nell’abbraccio del gigante asiatico Xi Jinping avrebbe sempre più leva per chiedere prezzi di favore. Ma non è tutto: i lavori per il gasdotto “Forza della Siberia 2” non inizieranno prima del 2024 e non è detto che la Cina voglia spingere i suoi acquisti oltre una certa soglia.

Di recente i flussi di gas che arrivano dalla Russia tramite i gasdotti già in funzione sono stati interrotti per manutenzione. Pechino ha accettato la necessità delle riparazioni, ma l’episodio non depone comunque a favore della Russia come partner energetico affidabile. Inoltre, la Cina ha sempre cercato di diversificare il più possibile le sue fonti di approvvigionamento proprio per evitare che la crisi di un fornitore abbia ripercussioni catastrofiche. «La Cina dovrebbe evitare una situazione in cui la Russia diventi il suo principale fornitore di combustibili fossili», ha dichiarato al New York Times Kevin Tu, consigliere energetico di Pechino. «In caso di cambiamenti nelle relazioni internazionali potrebbe esserci un grosso impatto sulla sicurezza energetica cinese». Davanti a una guerra che vede Putin sempre più in difficoltà, anche «l’amicizia senza limiti» deve fare i conti con le necessità economiche di una Cina che non è ancora pronta a tagliare i ponti con l’Occidente.

Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 08:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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