Putin e il consenso interno (che è ancora saldo): solo un russo su cinque vuole la fine della guerra

Secondo un reportage di Bloomberg lo Zar gode ancora dell'appoggio forte della sua gente. E starebbe anche pensando di ricandidarsi nel 2024

Venerdì 24 Febbraio 2023 di Gianluca Cordella
Putin e il consenso interno (che è ancora saldo): solo un russo su cinque vuole la fine della guerra

Esattamente un anno fa Vladimir Putin ordinava al suo esercito di sganciare le prime bombe sull'Ucraina per quella che, nelle sue idee, avrebbe dovuto essere una guerra lampo. E' passato un anno e la realtà dipinge un quadro ben differente, con un conflitto ancora in corso e lontano dalla conclusione e con ingenti perdite in entrambi gli schieramenti. Con la situazione di stallo sul campo, molti media occidentali cavalcano il dissidio “dal basso” all'interno della Grande Madre Russia, dipingendo crisi di consenso che potrebbero portare a un cambio di guida al Cremlino e alla fine delle ostilità. Ma è davvero così? No, stando a due fonti autorevoli come Bloomberg e Reuters che, in due differenti reportage, raccontano una situazione molto diversa.

E la situazione, in estrema sintesi, è che Putin gode ancora del pieno appoggio della gente.

Il consenso per lo zar non solo non si è affievolito, ma, anzi, si è rafforzato un pochino. Secondo i dati citati di Bloomberg, solo un russo su cinque – appena il 20% della popolazione – è favorevole alla fine della guerra e al ritiro delle truppe.

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Certo, pesa la massiccia politica di indottrinamento che Putin ha realizzato da sempre e che ha subito una spinta ulteriore negli ultimi mesi. Voci critiche completamente azzerate, manifestazioni di piazza represse, informazione sui media unilaterale. Un cappa di oppressione del pensiero che ha spinto gli oppositori “duri e puri” a lasciare il Paese per non incorrere in bavagli mediatici, sanzioni o condanne al carcere. Ma tant'è: la base del Russia sta con il Cremlino ed è questo che pesa nell'analisi dei possibili scenari futuri. Tra cui rientra anche l'ipotesi di una nuova candidatura dello zar alla presidenza nelle elezioni 2024: una mossa che, in caso di vittoria, lo lascerebbe al comando almeno sino al 2030.

Informazione manipolata

«Se l'attuale sistema politico rimane con i leader esistenti per altri 10 anni circa, parliamo di un intero ciclo scolastico per l'indottrinamento - ha spiegato a Bloomberg l'analista Ekaterina Schulmann, ora a Berlino - E non parlo tanto del patriottismo o delle teorie espansionistiche, quando dell'ipocrisia e dell'abitudine alle bugie». L'allarme lanciato dalla Schulmann affonda le radici nel problema strutturale: da premier o da presidente Putin è alla guida del Paese dal 1999. Un lasso di tempo che è stato caratterizzato dalla costante nostalgia per l'Unione sovietica e dall'ambizione al ritorno alla grandezza che fu. Presupposti che da sempre nelle sue politiche hanno comportato il mettere a tacere le voci dissidenti e nel compattare la base della cittadinanza dietro il sogno di una “Restaurazione” dell'Urss. Dall'invasione dell'Ucraina, poi, lo zar è riuscito a trovare il canale giusto per incanalare il consenso: non più la denazificazione di Kiev, che scarso appeal aveva avuto sull'opinione pubblica, ma la resistenza della Russia contro l'Occidente che – compatto e guidato dagli Stati Uniti – vuole calpestarne i diritti. E poco peso sembra avere, alla luce dei sondaggi, il fatto che nessun paese occidentale sia in realtà in guerra, se non attraverso la fornitura degli aiuti a Zelensky.

Paradosso di questa situazione è che le poche voci critiche che ancora si alzano in Russia (e che trovano un canale anche nella comunicazione ufficiale) non sono quelle dei pacifisti, ma quelle di chi critica il Cremlino per una campagna militare troppo soft, di chi chiede un impegno militare ancora maggiore per archiviare la pratica Ucraina e poi chissà. Di chi chiede persino di colpire maggiormente gli obiettivi civili per costringere Kiev alla resa. 

Significativo uno dei casi riportati da Bloomberg, quello di Darya, contabile 36enne che aveva minacciato il marito – militare di lungo corso – di lasciarlo se fosse partito per l'Ucraina. Il consorte non ha voluto sentire ragioni e si è arruolato lo stesso. E ora, dopo un anno di bombardamenti sul campo e mediatici, la moglie ha cambiato idea. «Adesso lo vedo come un erore – ha raccontato - Gli uomini non dovrebbero nascondersi dietro la gonna della madre quando il Paese ha bisogno di loro». E, insomma, la Russia ancora una volta si è scoperta più compatta che mai in tempo di guerra. Dote popolare, questa, emersa più volte e ciclicamente nella storia. Si parte dal basso, con i bambini che denunciano insegnanti o sacerdoti per aver parlato della necessità della pace e che realizzano a scuola candele nei barattoli da inviare in trincea ai propri militari (da qui anche l'allarme della Schulmann da Berlino). La scorsa settimana il Cremlino ha stanziato l'equivalente di 250 milioni di dollari per una nuova rete di campi estivi “patriottici” per bambini, con lezioni scolastiche speciali focalizzate su come la Russia, nei secoli, ha combattuto contro l'invasione occidentale. Lezioni che saranno “ampliate” con il coinvolgimento dei genitori.

Le sanzioni inefficaci

L'unico strumento che aveva l'occidente per provare a rovesciare il consenso erano le sanzioni. I cui effetti, però, spiega l'inchiesta di Reuters, hanno avuto sinora effetti molto marginali. Un po' perché gli strascichi sull'economia vanno inevitabilmente misurati nel lungo periodo più che nel breve. Ma anche perché a ben vedere tutte queste privazioni non ci sono state. Sono cresciuti i rapporti commerciali con i Paesi amici – dalla Cina alla Turchia – che spesso e volentieri sono diventate mere triangolazioni commerciali. Il Paese amico compra da un Paese europeo merci inibite alla Russia e poi gliele rivende. Senza dimenticare il fattore e-commerce. Il rublo forte consente quasi di compesare le spese di spedizione e la guerra ha semmai un po' allungato i tempi per le consegne (sono necessarie anche in questo caso triangolazioni aeree con i Paesi amici), ma non è stato un vero e proprio ostacolo. Senza contare, infine, l'intrapendenza dei moltissimi giovani russi che si trovano in Europa per studio o per lavoro che si sono organizzati come dei mini hub per lo smistamento merci: raccolgono gli ordini dalla Russia, comprano nel Paese in cui si trovano e poi spediscono tutto a casa.

E così, mentre la guerra entra nel suo secondo anno, la Russia si scopre più compatta che mai alle spalle del suo leader. E ai pochi oppositori rimasti in patria non restano che azioni di dissenso circoscritte come i graffiti o le sortite di hacking.

Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 12:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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