Meloni-Biden, asse sui migranti. Il pressing su Usa e Turchia: risolviamo il nodo Libia. Il piano per stabilizzare lo Stato africano

Da lì parte la maggioranza dei migranti. E Tripoli può tornare un hub energetico

Mercoledì 16 Novembre 2022 di Francesco Malfetano, inviato a Bali
Meloni in pressing su Usa e Turchia: risolviamo il nodo Libia. Il piano per stabilizzare lo Stato africano

C’è un fil rouge che ha legato insieme gli incontri tenuti (o non tenuti, nel caso di Emmanuel Macron) da Giorgia Meloni ieri. Nei faccia a faccia con i presidenti di Usa, Consiglio Ue e Turchia, il premier ha sempre posto l’accento sulla necessità di agire sulla questione migranti e spingere verso la pacificazione della Libia.

Che l’interlocutore sia Joe Biden, Charles Michel o Recep Tayyip Erdogan in pratica, per Roma quello di Tripoli è un dossier da risolvere. E in fretta. La sostanziale inazione internazionale causata dall’incancrenirsi degli scontri tra i governi di Tripoli e Tobruk, preoccupa molto i vertici dell’esecutivo.

Dal trovare un interlocutore affidabile per la sponda sud del Mediterraneo, passa infatti non solo una gestione totalmente diversa dei flussi migratori (e qui si spera di fare passi avanti prima della prossima primavera) ma anche del futuro del Paese. Quelli di “hub energetico” e di Piano Mattei più volte utilizzati da Meloni, sono concetti a cui, fuor di retorica, si crede molto. Tant’è che anche nel faccia a faccia tenuto appena una settimana fa - tra le polemiche - con il presidente egiziano Al Sisi, Meloni era arrivata a concordare sulla necessità di raggiungere «elezioni presidenziali e parlamentari, oltre che di preservare le istituzioni nazionali libiche e rafforzare il ruolo delle autorità di sicurezza nella lotta al terrorismo». 

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GLI OBIETTIVI STRATEGICI

Una risoluzione,quella italiana sulla Libia, che interessa da vicino proprio i tre leader incontrati in Indonesia. Se gli Stati Uniti si sono gradualmente disinteressati del Paese nordafricano - si ragiona nell’esecutivo - è vero che ora chiedono sostegno agli alleati per disinnescare il fronte indo-pacifico, dove Xi Jinping vorrebbe in sostanza prendersi Taiwan. Un obiettivo strategico che, agli occhi italiani, può compensarsi con un reciproco appoggio diplomatico. Idem per quanto riguarda Erdogan, con la differenza che la Turchia non è solo un partner regionale strategico con cui l’Italia sta accrescendo le sue relazioni commerciali (specie in termini di gas e, auspicano ad Ankara, nuove armi) o un “partner” coinvolto - più o meno direttamente - sul terreno in Libia, ma è anche l’unico Paese che è stato in grado di mettere l’Europa alle corde sulla gestione dei flussi migratori. Nei giorni scorsi Meloni ha più volte richiamato il «modello turco» come esempio da seguire per risolvere la crisi migratoria nel Mediterraneo centrale. Ovvero: un investimento rilevante nei paesi da cui salpano le barche in cambio dell’impegno a fermare le partenze.

 

Insomma quel “piano Marshall” evocato anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ai suoi colleghi Ue ha anche indicato una cifra: 100 miliardi. Ma un piano del genere non può portare risultati finché in Libia non ci sarà un vero Stato in grado di controllare le sue coste. E dunque, vista la forte influenza che la Turchia esercita su una grande parte del territorio libico, è ben accetto ogni suggerimento di Erdogan sull’azione da compiere in Libia (magari con il sostegno militare turco) per arrivare alla formazione di un nuovo governo e limitare le partenze. Un punto, quello libico, rimarcato nei rispettivi comunicati di Roma ed Ankara, al punto da assumere quasi le sembianze di un messaggio inviato a Bruxelles. O almeno a quella folta schiera di oppositori che si sta rapidamente polarizzando attorno all’eccessiva prudenza delle risposte che arrivano per risolvere la crisi energetica o sull’apertura a nuovo debito comune. Un esempio? Nell’acredine mai risolta tra Michel e la rigida presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen (i due hanno accuratamente evitato di incontrarsi a Bali), il saluto amichevole tra lui e Meloni, è un segnale tutt’altro che difficile da interpretare. Nella faticosa trattativa di Bruxelles, il presidente del Consiglio europeo può essere una sponda per le richieste italiane, e il colloquio di ieri - in cui il tema delle regole sui migranti è stato affrontato - sembra confermarlo.
 

Ultimo aggiornamento: 16:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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