Ben Barak, ex numero 2 Mossad: «Foreign fighter in cella o rischi per tutti i Paesi europei»

Giovedì 28 Novembre 2019 di Gianluca Perino
Ben Barak, ex numero 2 Mossad: «Foreign fighter in cella o rischi per tutti i Paesi europei»
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«I foreign fighter non devono mai uscire dal carcere» perché operando nelle zone governate dall'Isis «hanno acquisito una vasta esperienza militare: lasciarli tornare alla vita civile è estremamente pericoloso per la
sicurezza di qualsiasi Paese». Ram Ben Barak è uno dei pezzi da novanta dell'intelligence israeliana. Nato e cresciuto a Nahalal, un moshav di un migliaio di abitanti nel Nord del Paese, ha cominciato la sua carriera nell'unità delle forze speciali "Sayeret Matkal" dell'IDF. Poi l'arruolamento nel Mossad, i servizi segreti di Gerusalemme, dove ha militato per 27 anni arrivando ad occupare il ruolo di numero due sotto la direzione di Meir Dagan. A partire dal 2011 ha ricoperto annche altri incarichi chiave, tra cui quello di direttore generale del ministero dell'Intelligence e degli Affari Strategici.

Ma adesso Ben Barak, che è a Roma per alcuni incontri nell'ambito dell'Assemblea Parlamentare per il Mediterraneo, ha dismesso i panni dello 007. E ha indossato quelli del politico, entrando nel partito Blu e Bianco fondato da Benny Gantz e Yair Lapid e venendo eletto alla Knesset, il parlamento israeliano. Nel prossimo governo, se la situazione di stallo politico dovesse sbloccarsi, l'ex spia del Mossad potrebbe ricoprire altri incarichi "pesanti" collegati in qualche modo all'intelligence.





Secondo lei, gli Stati Uniti possono realmente aiutare Israele a trovare un accordo con il popolo palestinese? Il presidente Trump parla di un grande piano per la pace, ma le sue recenti dichiarazioni sulla Cisgiordania hanno provocato nuove tensioni...
«Nesuno conosce come sarà il prossimo "Accordo del Secolo" (così lo ha battezzato Trump, ndr) ma da quello che sappiamo prevede uno sviluppo economico molto spinto, che alla fine porterà ad uno Stato palestinese smilitarizzato, senza grandi insediamenti e con la valle del Giordano che rimarrà all'interno del confine orientale di Israele».

Ma i palestinesi sono disposti a trattare?
«Beh, io spero che questa volta siano guidati da qualcuno con le necessarie capacità di leadership. Così non perderanno l'occasione di firmare un'intesa con il sostegno internazionale».

Questo piano ha un futuro in tempi brevi?
«Dal mio punto di vista è un ottimo piano. Ma il suo successo dipende dall'accordo tra entrambe le parti: e questo, al momento, mi sembra uno scenario improbabile. In futuro, tuttavia, una volta che l'economia si sarà sviluppata ulteriormente, credo che diventerà evidente che è possibile vivere in modo diverso. Sono certo che Israele dovrebbe separarsi dai palestinesi e che i palestinesi dovrebbero avere uno stato indipendente».

Qual è la proposta del partito Blu e Bianco per la pace?
«Il Partito Blu e Bianco è impegnato a compiere ogni sforzo per raggiungere un accordo con i palestinesi che non danneggi la sicurezza di Israele. Il disimpegno unilaterale dalla Striscia di Gaza, che fu poi lasciata sotto il pieno controllo dei palestinesi, ha costituìto un terribile precedente: alla fine, infatti, la regione è stata occupata da Hamas, un'organizzazione terroristica in piena regola. Per questo Israele ha passato momenti molto difficili e ha dovuto  prendere decisioni importanti riguardo al futuro della Giudea e della Samaria, impegnandosi al massimo per evitare il ripetersi di una simile esperienza. Quindi, qualsiasi accordo futuro deve anche stabilire che l'Autorità Palestinese riprenda il controllo della Striscia di Gaza».

L'uccisione del comandante  Al Ata a Gaza e il tentativo di colpire un altro alto graduato della Jiahad Islamica a Damasco... Israele ha ripreso la strategia degli omicidi mirati? Dopo quegli espisodi è ricominciato un fitto lancio di razzi dalla Striscia verso il vostro Paese: come reagirete?
«La guerra al terrore è una battaglia complessa e multidimensionale e non esiste una soluzione facile. Il primo passo è seguire la pista del denaro, identificare gli attivisti e i leader e quindi costringere le comunità che li supportano a fermare tutte le attività terroristiche. Ogni tentativo di istigazione al terrore deve essere eliminato e al suo posto devono essere offerti incentivi per un maggiore impegno nella pace».

E gli omicidi mirati?
«E' uno degli strumenti che l'IDF utilizza per combattere il terrore».

Secondo lei, quali sono i rischi per l'Europa (e per l'Italia) che possono derivare dal ritorno nei rispettivi Paesi dei combattenti dell'Isis?
«Questo dei combattenti stranieri è un fenomeno veramente preoccupante. Secondo me non devono mai essere rilasciati dal carcere. Sono persone indottrinate ideologicamente e in quelle aree hanno acquisito una vasta esperienza militare: lasciarli tornare alla vita civile è estremamente pericoloso per la sicurezza di qualsiasi Paese. Naturalmente devono essere processati in tribunale e la loro riabilitazione effettuata come previsto dalla legge».

Ma possono creare una rete del terrore una volta tornati in Europa?
«Per evitarlo devono essere fatte alcune cose: coordinamento tra gli Stati per imporre le leggi e contatti tra le agenzie di intelligence dei singoli Paesi per lo scambio di informazioni. Israele con questi terroristi di ritorno può essere di grande aiuto, soprattutto con le tecnologie di controllo delle frontiere e la raccolta di informazioni».
Ultimo aggiornamento: 15:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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