Un altro italiano manca all'appello in Israele. Il suo nome è Nir Forti. «Purtroppo abbiamo appena appreso, su segnalazione dei genitori, che manca all'appello un terzo cittadino italo-israeliano, Nir Forti. Ho appena parlato con la famiglia cui ho garantito massima assistenza». Ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani su X. Nir Forti, l'italo-israeliano che risulta disperso dopo l'attacco di Hamas, si trovava al rave party di Reim con un'amica e sarebbe stato ferito.
I dispersi
«Cominceremo a giustiziare pubblicamente un civile israeliano in ostaggio per ogni bombardamento israeliano su abitazioni civili a Gaza senza preavviso».
Allarme ostaggi
«Dobbiamo entrare a Gaza, non possiamo trattare ora», avrebbe invece detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu al presidente Usa Biden che gli chiedeva degli ostaggi. Mentre si rincorrono le indiscrezioni sul possibile ruolo dei Paesi arabi per riportare a casa le decine di uomini, donne e bambini caduti nelle mani dei jihadisti, crescono gli appelli disperati sui social e gli allarmi delle cancellerie di tutto il mondo. Perché gli ostaggi sono israeliani ma anche tedeschi, britannici, statunitensi, francesi, sudamericani, asiatici. E italiani appunto. Alcuni riconosciuti e identificati dagli scioccanti video dei rapimenti, virali sui social, altri ufficialmente indicati come dispersi oppure morti. Di loro infatti non se può ancora conoscere il destino con certezza. E le bombe non distinguono se sei vittima o sequestratore: «Quattro prigionieri israeliani sono stati uccisi dai raid su Gaza», ha sostenuto così Abu Obeida, portavoce delle Brigate Izzedin al Qassam, ala armata di Hamas. Ed è difficile naturalmente distinguere tra verità e propaganda.
#Israele. Purtroppo abbiamo appena appreso, su segnalazione dei genitori, che manca all’appello un terzo cittadino italo-israeliano, Nir Forti. Ho appena parlato con la famiglia cui ho garantito massima assistenza.
— Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) October 11, 2023
Le trattative
Gli ostaggi comunque sarebbero almeno 130: cento nella mani di Hamas, trenta tenuti prigionieri dalla jihad islamica, la loro vita appesa a un filo. Numeri divulgati dai miliziani, mentre dalle autorità ebraiche non sono state riportate cifre ufficiali. L'esercito israeliano ha «le coordinate di tutti i prigionieri a Gaza», ha provato a rassicurare in serata il portavoce militare. «La guerra è cominciata male per noi, ma finirà molto male per l'altra parte», ha avvertito. Malgrado le smentite ufficiali comunque, crescono le indiscrezioni su possibili mediazioni arabe per strappare un accordo che porti alla liberazione dei prigionieri. Una fonte del Movimento di resistenza islamica ha riferito all'agenzia cinese Xinhua che il Qatar starebbe mediando uno scambio urgente con il sostegno degli Stati Uniti: donne israeliane catturate dai miliziani in cambio di donne palestinesi detenute nelle carceri ebraiche.
Secondo la fonte, Hamas avrebbe informato il Qatar che sarebbe disponibile all'operazione se tutte le 36 donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane fossero rilasciate. La mediazione è stata avvalorata anche da un alto funzionario americano e un'altra persona che ha familiarità con la questione alla Cnn. Ma da Israele non è arrivata alcuna conferma. Dichiarazioni a parte, l'unica certezza per il momento è che il nodo sui prigionieri resta, mentre cresce la paura delle esecuzioni pubbliche per vendetta. Una paura che alimenta il grido di dolore di parenti e amici degli ostaggi, molti dei quali giovanissimi. Qualcuno implora il governo israeliano e la comunità internazionale di guardare oltre la politica. Come Malki Shmetov, il figlio disperso dopo gli attacchi di sabato: «È una questione di umanità. I nostri bambini sono lì... per favore, aiutateli».