Il divieto di indossare sul posto di lavoro «qualsiasi forma visibile di espressione delle convinzioni politiche, filosofiche o religiose» può essere «giustificato» dall'esigenza del datore di lavoro di presentarsi in modo «neutrale» ai clienti o di «prevenire conflitti sociali». Lo stabilisce la Corte di Giustizia dell'Ue, in una sentenza che riguarda la vicenda di due dipendenti di società tedesche, che hanno indossato il velo lavorando, una in qualità di educatrice specializzata, l'altra di consulente di vendita e di cassiera.
La prima, l'educatrice, è stata sospesa per due volte dalla Wabe eV di Amburgo, e poi ammonita, per il suo rifiuto di togliere il velo lavorando; si è rivolta al Tribunale del Lavoro, che ha interrogato la Corte di Lussemburgo.
La Corte nella sentenza ha stabilito che il datore di lavoro può vietare di indossare segni di questo tipo quando il lavoratore sta lavorando, ma non sempre. Dev'esserci «un'esigenza reale» del datore di lavoro: i giudici nazionali, nella conciliazione dei diritti e degli interessi in gioco, possono tenere conto del «contesto specifico» dello Stato membro e, in particolare, delle disposizioni di legge più favorevoli alla tutela della libertà di culto.