Lorenzo Orsetti, l'amica combattente: «La guerra fa schifo ma non si può stare a guardare»

Martedì 19 Marzo 2019 di Cristiana Mangani
Lorenzo Orsetti, l'amica combattente: «La guerra fa schifo ma non si può stare a guardare»

C'è una data che Maria Edgarda Marcucci non dimenticherà mai, ed è settembre del 2017, quando ha conosciuto Lorenzo Orsetti, e un anno dopo ha masticato terra e ha combattuto l'Isis da una trincea di Afrin in Siria. Insieme con le forze curde, per la resistenza. Insieme con altri italiani che, come lei, hanno messo in conto di morire per una causa così lontana, ma anche tanto vicina.

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Ventisette anni, giovanissima, che scelta è stata la sua?
«È un atto di coscienza, nulla di più nulla di meno. Quelli della Federazione democratica sono valori universali. Il destino del nostro popolo è appeso a loro e viceversa. Non si può pensare di essere spettatori di un'esperienza storicamente così rilevante. Sono valori in cui noi crediamo, non conoscono confini né colore della pelle».



Chi siete voi?
«Siamo persone che hanno scelto la parte in cui stare. Lo abbiamo scelto in Siria e anche in Italia. Non fa differenza su quale suolo si cammini. Sono valori che ogni persona deve portarsi dentro, agire e lottare per essi, ovunque si trovi».
 

 


Ma vuol dire sparare, uccidere, morire.
«Vuol dire lottare qui per una giustizia sociale, ma anche e soprattutto creare un'alleanza con quella parte di Siria che, a costo della vita, ha protetto anche noi. Perché le forze siriane democratiche ci hanno protetti prima che l'Isis venisse a seminare morte in Europa. Quindi, se possiamo andare in giro tranquilli, è anche per loro».

Lorenzo ci è morto, ne valeva la pena?
«Non è il primo internazionalista che muore. L'anno scorso è stata uccisa dalle bombe, ad Afrin, Anna Campbell. Ma la battaglia ha un senso, perché gli obiettivi sono la libertà, l'uguaglianza, la pace tra popoli, la giustizia, il rispetto delle donne, degli altri e della terra».

Non hai mai avuto paura?
«Certo. La guerra fa schifo ed è orribile, è paura, dolore insensatezza. Stavamo nelle postazioni militari, scelte a seconda della tattica. Si cerca di non lasciare le persone un tempo superiore a un mese sul fronte diretto. Ci si dà il cambio. Ci si riposa e si torna».

Quando è tornata in Italia è stata indagata e ora rischia dei provvedimenti giudiziari. Che è successo?
«Lunedì prossimo ci sarà un'udienza durante la quale verrà deciso se dovremo sottoporci a misure di prevenzione. Siamo io, altri 4 torinesi e un sardo. La procura di Torino ha chiesto la sorveglianza speciale per tutti noi, in quanto considerati individui socialmente pericolosi, perché abbiamo imparato a usare le armi. Ma il processo non è per cosa abbiamo fatto o facciamo, ma per chi siamo. È la scelta che abbiamo fatto, che viene giudicata».

Quando è rientrata a Torino?
«Il 30 luglio del 2018».

Pensa mai di ritornare in Siria?
«Sicuramente quello con la rivoluzione è un legame che voglio mantenere vivo e penso che in Italia non solo si possa ma si debba fare qualcosa. C'è tutta una parte della popolazione che si impegna ogni giorno per andare nella direzione mia, di Lorenzo, e di tanti giovani, donne e uomini, che arrivano da ogni parte del mondo».

Ha mai vacillato davanti alla morte?
«È un scelta difficile da fare, ma ci sono cose per cui vale la pena di morire».
 

Ultimo aggiornamento: 22:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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