Iraq, i curdi riprendono la diga di Mosul e tre città costringendo Isis a ritirata

Lunedì 18 Agosto 2014 di Roberto Romagnoli
Un peshmerga lungo le rive del Tigri
Una domenica nera, e non perch all’insegna delle loro bandiere, quella dei jihadisti dell’Isis in Iraq. L’offensiva dei curdi, la cui avanzata spianata dai raid aerei dell’aviazione Usa, ieri ha provocato sconfitte a catena per i combattenti di al Bagdadi. Le forze curde Peshmerga hanno infatti riconquistato tre cittadine nel nord dell'Iraq cadute la settimana scorsa nelle mani dello Stato Islamico. Si tratta, secondo quanto riferisce la televisione satellitare qatariota Al Jazira, di Tel Skuf, Ashrafia e Batnaya. Ieri sera i peshmerga erano impegnati in combattimenti per cercare di riconquistare anche la città di Tal Kif.



LA BATTAGLIA DELLA DIGA

Ma la vittoria più siginificativa è quella che ha permesso alle forze curde di cacciare i jihadisti dalla grande diga sul fiume Tigri vicino a Mosul. Già sabato i peshmerga erano riusciti a far allontanare i nemici dal settore orientale della diga. Ieri pomeriggio, dopo una quindicina di raid aerei Usa, l’annuncio di funzionari curdi del totale controllo delle diga che era stato occupata il 7 agosto dai combattenti dell’Isis. Secondo l'ex ministro degli Esteri iracheno, il curdo Hoyshar Zebari, i peshmerga hanno incontrato «una fiera resistenza con bombe sul ciglio della strada e attentatori suicidi». La diga, a nord di Mosul, fornisce l'acqua e l'elettricità alla maggior parte della regione nel nord dell'Iraq, ed indispensabile per l'irrigazione dei campi nella provincia di Ninive.

Nel fornire un resoconto dei raid aerei, ai 14 di domenica si aggiungono i 9 di sabato, il Pentagono ha fatto sapere che ieri gli attacchi americani, condotti con successo anche da droni, hanno danneggiato o distrutto dieci vettori blindati, sette Humvees, due veicoli armati e un checkpoint dell'Isis. Secondo l’agenzia irachena Nina, durante l’ultimo raid quarantaquattro miliziani dell'Isis sono rimasti feriti.



LA PIANA DI NINIVE

Se i peshmerga riusciranno a stablizzare il loro controllo sulla diga, nei prossimi giorni il loro obiettivo, e quello dell’aviazione americana, dovrebbe essere quello di ripulire dai jihadisti dell’Isis la piana di Ninive da dove a decine di migliaia di cristiani e yazidi sono fuggiti dalle loro case per sottrarsi alla ferocia degli uomini con le bandiere nere e dove a centinaia sono stati uccisi, spesso in esecuzioni raccapriccianti. Ovviamente non sarà facile anche perché si suppone che i jihadisti stiano mettendo in cantiere strategie diverse in risposta al nuovo tipo di guerra a cui ora si trovano davanti a causa degli interventi dell’aviazione Usa. Certo è che la giornata di ieri ha sollevato di molto il morale dei peshmerga che ora attendono con impazienza gli aiuti militari promessi dall’Unione europea.

Ieri, dalla colonne del Sunday Telegraph, il premier britannico David Cameron ha lanciato un segnale forte in questa direzione sottolineando che contro la minaccia dell'Isis l'azione umanitaria da sola non è sufficiente. Un intervento, che per la prima volta fa leggere fra le righe la propensione di Londra verso un coinvolgimento maggiore in Iraq rispetto a quanto messo in campo fino a ora. Nel commentare la crisi irachena, Cameron ha anche affermato che «la creazione di un califfato islamico estremista nel cuore dell'Iraq e che si estende verso la Siria non è un problema lontano da casa», ma una minaccia che potrebbe giungere fin nelle strade della Gran Bretagna. Parole con le quali Cameron prova a fare pressione su un’opinione pubblica che non ha mai digerito l’intervento britannico in Iraq nel 2003 al fianco degli Stati Uniti.
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