Nella quiete di Camp David Donald Trump avrà pensato e ripensato al giorno più lungo della sua presidenza, quello della decisione più difficile: se accendere la miccia di una guerra con l'Iran o fermare in extremis l'ordine di attaccare, resistendo al pressing della gran parte dei suoi collaboratori riuniti nella Situation Room. Alla fine ha scontentato i falchi, bloccando i raid quando i caccia erano già pronti a decollare. Ma nelle stesse ore ha autorizzato un'ondata di cyber attacchi senza precedenti, i cui effetti per Teheran potrebbero essere ancor più devastanti di alcune batterie di radar o di missili bombardate.
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L'ordine ricevuto dallo Us Cyber Command è stato quello di una duplice offensiva contro i sistemi informatici di controllo dei lanciamissili della Repubblica islamica e contro il gruppo iraniano di intelligence che per gli 007 Usa è responsabile degli attacchi alle petroliere nel Golfo dell'Oman. Perché è proprio grazie ai computer di questa organizzazione legata al corpo delle Guardie Rivoluzionarie che sarebbero state individuate e tracciate le imbarcazioni da colpire.
Se per ora è stata quindi evitata un'escalation sul terreno, nel cyber spazio la guerra è già scoppiata, con l'Iran che da diversi mesi ha intensificato gli attacchi non solo nei confronti degli Usa, infettando con i suoi virus le reti informatiche di industrie ed agenzie governative, ma anche contro i suoi alleati del Golfo, come Bahrain ed Emirati Arabi. A dimostrazione della capacità e dell'autosufficienza raggiunte da Teheran, che solo fino a poco tempo fa per le sue offensive online si appoggiava a gruppi ben più esperti e collaudati che operano dalla Russia.
L'allarme è stato lanciato già più volte dall'agenzia del Dipartimento della sicurezza nazionale americano che si occupa della cyber security: gli hacker di Teheran sono ormai in grado non solo di rubare informazioni e soldi ma di abbattere intere reti informatiche. Non aiutano a stemperare le tensioni i toni usati a Teheran, dove durante una sessione del Parlamento iraniano si è alzato il coro «morte all'America»: «L'America è il vero terrorista che diffonde il caos e fornisce armi avanzate ai gruppi terroristici mentre invita a negoziare», ha affermato il vicepresidente dell'assemblea, Masoud Pezeshkian, scatenando la reazione di molti dei parlamentari presenti.
A preoccupare è l'avvicinarsi dell'ultimatum lanciato da Teheran, che potrebbe presto superare per la prima volta i limiti per la produzione di uranio arricchito previsti nell'accordo del 2015: una grave violazione che difficilmente potrà rimanere senza risposta e destinata a mettere ancor di più in forte difficoltà l'Europa, che in tutti i modi sta tentando di non rompere il legame con l'Iran. A Washington intanto continua a far discutere la retromarcia last minute del presidente sulla rappresaglia aerea per il drone Usa abbattuto.
«L'Iran non deve interpretare la nostra prudenza come una debolezza», è stato il monito del consigliere alla Casa Bianca per la sicurezza nazionale John Bolton, impegnato a Gerusalemme in un incontro trilaterale con Israele e Russia. «I tentativi di Teheran di dotarsi di armi nucleari, la sua presenza in Siria e la sua consegna di armi ad elementi ostili in Medio Oriente - ha detto Bolton - non indicano che siamo di fronte a un paese che aspira alla pace».