Cina, 31 anni fa Tienanmen: la stretta che ora teme Hong Kong

Mercoledì 3 Giugno 2020
Cina, 31 anni fa Tienanmen: la stretta che ora teme Hong Kong

Nel 2019, la veglia sulle vicende sanguinose di piazza Tienanmen e le proteste successive contro la legge sulle estradizioni in Cina sembravano l'inizio di qualcosa di nuovo a Hong Kong: a un anno di distanza le manifestazioni, come quella del 4 giugno negata dalla polizia, appaiono le ultime chance prima che la legge sulla sicurezza nazionale voluta da Pechino assegni al governo centrale il potere di stroncare il dissenso e l'autonomia della città. Per la prima volta in 30 anni, Hong Kong non avrà domani sera la veglia con decine di migliaia di candele a Victoria Park per ricordare le proteste per la svolta democratica chiesta invano dagli studenti del 1989, represse nel sangue dalle truppe dell'Esercito di liberazione popolare.

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La motivazione ufficiale è il distanziamento sociale, con le rigide regole per contenere il Covid-19: «un pretesto per silenziare l'opposizione», secondo Joshua Wong, uno dei volti più noti del fronte democratico. Presentando la «petizione globale» davanti al parlamento dell'ex colonia, Wong si è appellato ai leader dell'Ue perché si oppongano alla legge sulla sicurezza nazionale. Dal vecchio continente il primo ministro britannico Boris Johnson sfida, intanto, Pechino confermando la promessa di visti facilitati per il Regno a 2,85 milioni di cittadini dell'ex colonia aprendo «la strada per la cittadinanza». Mercoledì, oltre alle otto persone massime presenti a Victoria Park e alla veglia simbolica online, il parlamentino locale voterà la contestatissima legge sul rispetto dell'inno nazionale cinese che criminalizza ogni atto di irriverenza verso la «Marcia dei volontari» con sanzioni pecuniarie e carcere, come ulteriore segnale di un cambiamento in corso.

Da Pechino, del resto, la governatrice Carrie Lam ha ribadito nel pomeriggio che la sovranità dei territori «è minacciata da forze che s'appellano al separatismo e perfino al terrorismo, in aumento a Hong Kong»: il governo centrale «non aveva alternative che un'azione stringente a tutela del Paese unito». La legge non colpirà i diritti legittimi della maggioranza, ma avrà «un piccolo numero di persone che mette in pericolo» la sicurezza nazionale, ha aggiunto citando il vicepremier Han Zhen. Un rapporto dell'American Chamber of Commerce di Hong Kong, intanto, ha stimato che il 60% delle società Usa ritiene che la legge peserà sul business e il 70% non vuole lasciare la città. La governatrice ha visto anche il ministro per la Pubblica sicurezza Zhao Kezhi, promosso a vice direttore della leadership centrale del Pcc che cura gli affari di Hong Kong e Macao. I media statali cinesi hanno preso di mira insistentemente le proteste caotiche degli Stati Uniti, mettendo in luce le minacce del presidente Donald Trump sull'uso delle truppe, anche nell' incombenza dei 31 anni della repressione militare di Tienanmen. Hu Xijin, editor-in-chief del Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo (la voce del Pcc) ha scritto che gli Usa stanno celebrando l'anniversario di Tienanmen «in un modo unico. I militari Usa vengono spediti nelle città e la polizia sta aprendo il fuoco. Gli Usa stanno dimostrando l'importanza per la Cina di ristabilire l'ordine nel 1989. Ma allora, la distruzione dell'ordine cinese era molto peggio di adesso negli Stati Uniti», ha aggiunto Hu, in un tweet al veleno.

La Cina è stata a lungo criticata da Usa e da altri Paesi per i diritti umani contro, ad esempio, tibetani e uiguri. Ad aprile diversi ambasciatori africani si lamentarono con Pechino per il trattamento «disumano» riservato ai loro connazionali nella città di Guangzhou durante il contenimento del coronavirus. Gli scenari sono contraddittori: il monito del segretario di Stato Mike Pompeo sulla veglia negata nell'ex colonia (Pechino vuole rendere gli abitanti di Hong Kong «uguali a quelli della Cina continentale») è caduto nel vuoto. «I grandi traguardi raggiunti dopo la fondazione della nuova Cina dimostrano in pieno che il percorso di sviluppo scelto dalla nuova Cina è totalmente corretto e in linea con le condizioni nazionali della Cina», ha replicato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri. Come dire, la Cina di oggi giustifica la bontà della scelta di allora.
 

Ultimo aggiornamento: 21:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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