Un fragoroso sospiro di sollievo. È quello che parte da Bruxelles e si allarga a tante cancellerie europee, compresa quella italiana. Dove, a Palazzo Chigi, Draghi che non voleva credere alla possibilità che Le Pen potesse battere Macron al primo turno - quanto al ballottaggio si vedrà, e non sarà una partita facile per il fronte europeista - è stato confortato dai numeri francesi e dal fatto che il presidente uscente, a dispetto di tutte le paure degli ultimi giorni, abbia vinto per il momento e si sia addirittura rafforzato rispetto ai consensi della prima volta, nel 2017, consolidando così la sua leadership.
Il percorso
Qui da noi si fa festa nel Pd, al Nazareno, dove il segretario Letta è stato - come Draghi ma con la possibilità di farlo vedere più apertamente rispetto al premier - lo sponsor più appassionato delle chance di Macron al punto di sfidare in un dibattito tv a Parigi la candidata della destra. «Se vince Le Pen ci sarebbe un terremoto politico senza precedenti in Europa, una cosa mai vista. Tutto quello che dice e pensa è il contrario dell’integrazione europea. E avrebbe impatto enorme anche su di noi», ha detto ieri mattina Letta. E ancora: «Se vincesse lei, sarebbe una vittoria enorme per Putin, entrando nel cuore della Francia». Poi si sono aperte le urne, e nel cuore dell’Europa, a strappo lepenista-putinista scongiurato almeno per ora, si è subito ricominciato a ragionare in termini di continuità. Il Recovery Fund non sarà stracciato, come sarebbe accaduto con la Francia populista inserita nell’asse franco-tedesco per scardinarlo dal di dentro, ma semmai adeguato ai nuovi scenari di guerra. L’Agenda Ue non subirà scossoni e confermerà il suo impianto liberal-riformista su vincoli comunitari, nuova difesa comune, formazione, impresa, protezione sociale, autonomia energetica, accoglienza dei profughi. Le sanzioni alla Russia, fortemente invise all’asse Le Pen-Orban a cui si sarebbe probabilmente aggiunto anche Salvini sulla scia delle sue ambiguità “di lotta e di governo” in caso di successo della destra francese, non saranno bloccate. E la cintura di sicurezza repubblicana che è scattata in Francia funge per tutti gli altri partner, almeno quelli del blocco non sovranista, come una trincea su cui assestarsi che non era scontato avere e la cui mancanza avrebbe trascinato questa aerea geo-politica ed economica in un abisso di contraddizioni e scontri interni dai rischi incalcolabili.
Intanto, al sollievo draghiano e Pd si aggiunge quello di Berlusconi. Il Cavaliere ai suoi ha detto di essere assolutamente contento del risultato di Macron la cui sconfitta sarebbe stata «la fine dell’Europa e dei suoi valori liberali». E le parole del Cavaliere coincidono perfettamente con quelle che ha twittato ieri sera Letta a proposito dello scontro che si è profilato e che continuerà fino al ballottaggio francese di fine mese: «Putin sostiene il nazionalismo e noi l’europeismo». Nel noi non è compreso Salvini che, all’opposto di Berlusconi, ha esultato così: «Molto bene Marine, siamo felici del tuo successo e orgogliosi del tuo lavoro, del tuo coraggio, delle tue idee e della tua amicizia».
Nuovi spazi
È da riconfermare la vittoria macroniana (ma Melenchon che nega il sostegno al ballottaggio a Le Pen è un elemento cruciale anche se il 50 per cento della Francia ha scelto per ora le forze populiste e anti-sistema) e intanto alla luce di questa vittoria Draghi potrà far crescere il suo peso nel trittico con Berlino e Parigi che, in caso di affermazione della destra, non ci sarebbe stato più. L’esito del voto francese è insomma un’opportunità per aprire uno spazio politico all’Italia. C’è chi si spinge a dire che la «vittoria dimezzata» di Macron, con gran parte della Francia non dalla sua parte, può dare più agio al governo italiano per diventare il principale player insieme alla Germania nella crisi in corso e nei suoi futuri sviluppi.
Avesse vinto Le Pen, l’Europa avrebbe cominciato a contare di meno nello scacchiere globale. Da qui la comune sensazione di scampato pericolo. Ma si racconta che perfino il cancelliere socialdemocratico Scholz, sempre considerato un tipo non superstizioso, in vista del 24 aprile ha deciso di toccare ferro.