«Basta discriminare i brutti», il New York Times scende in campo contro il "Lookism"

Domenica 27 Giugno 2021
(foto pixabay)
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Il New York Times apre ad una nuova lotta, quella contro il "Lookism", ovvero il pregiudizio contro i bruti.

Gli studi che si sono succeduti nel corso degli anni lasciano adito a pochi dubbi. I non belli hanno meno chance di trovare un lavoro e di essere promossi: il loro divario salariale con i belli è pari o maggiore di quello fra i bianchi e gli afroamericani. Guadagnano in media 63 centesimi per ogni dollari guadagnato dai belli, perdendo complessivamente nel corso della loro vita quasi 250.000 dollari. Nonostante questo - nota il New York Times in un editoriale di David Brooks dal titolo 'Perché è ok essere meschini con i brutti?' -, il fenomeno passa inosservato e i social media tacciono.

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Questo forse perché non esiste un'associazione nazionale dei brutti che fa lobby o forse perché questo tipo di discriminazione è talmente innata nella natura umana da non farci neanche caso. O forse perché la società celebra in modo ossessivo la bellezza, soprattutto sugli schermi dei cellulari, arrivando a ignorare gli effetti di una discriminazione che è dilagante, che porta a considerare l'obesità come una debolezza morale e come segno di appartenenza a una bassa classe sociale. Uno studio del 2004 ha rivelato che le denunce per discriminazioni sull'aspetto sono maggiori di quelle per la razza. Così come i criminali non belli che commettono reati minori tendono a essere puniti più severamente dei belli. Senza contare come le persone più attraenti sono considerate più competenti e intelligenti. «L'unica soluzione - è la conclusione di Brooks sul New York Times - è cambiare le norme». E prendere esempio da Victoria Secret, che ha mandato in pensione gli Angeli, per combattere il lookism.

Ultimo aggiornamento: 17:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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