Brexit, sventato il “no deal”: intesa su pesca e commercio. Compromesso vicino a 4 anni e mezzo dal referendum

Giovedì 24 Dicembre 2020 di Cristina Marconi
Brexit, sventato il “no deal”: intesa su pesca e commercio. Compromesso vicino a 4 anni e mezzo dal referendum

La Brexit è vicina, ormai sembra quasi di poterla toccare: le linee di un accordo sugli scambi commerciali a partire dal 1 gennaio sono state finalmente definite, il premier Boris Johnson in tarda serata ha incontrato i suoi ministri in videoconferenza e i tabloid pro-Brexit parlano di un accordo fatto. Quattro anni e mezzo e tre premier dopo il referendum del 23 giugno del 2016, l'Unione europea e il governo britannico guidato da Boris Johnson sono arrivati a quel punto del negoziato, durato più di nove mesi, in cui le divergenze sono minime, soprattutto per i britannici che però quando tutto sembrava pronto per un annuncio nella prima serata di ieri hanno fatto un passo indietro. Fino all'ultimo a tenere divise le due parti sono stati il tema della concorrenza delle imprese e in particolare, pare, sulle auto elettriche - e soprattutto quello della pesca, piccola nei numeri ma fortemente simbolica e politicamente carica, con le discussioni incentrate sull'accesso che le imbarcazioni europee avranno nelle acque britanniche e il diritto della Ue di imporre tariffe nel caso l'accesso venisse negato in futuro. Bruxelles avrebbe accettato di ridurre del 25% la quantità di pescato rispetto al passato, mentre il Regno Unito vorrebbe il 35%: una disputa da 60 milioni di sterline, una cifra inferiore, secondo quanto sottolineato dal Daily Mail, a quella spesa per riportare Paul Pogba al Manchester United.

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IL RUOLO DEL PARLAMENTO
Ogni anno gli europei pescano per il valore di 650 milioni di euro nelle acque britanniche, nulla se confrontato ai 512 miliardi di euro di beni che ogni anno la Ue e il Regno Unito si scambiano e per i quali c'è disperato bisogno di un accordo, ma Johnson è costretto a mostrare di vendere cara la pelle, perché la sua presa sui Tories, dopo un anno di gestione a dir poco caotica della pandemia, non è quella di un anno fa e per molto euroscettici oltranzisti qualunque compromesso corrisponde a una resa pura e semplice.

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Non solo il parlamento britannico vuole avere voce in capitolo, ma il caso di Theresa May, con cui la Ue aveva raggiunto un accordo che era stato ripetutamente bocciato da Westminster, è lì a ricordare come i passaggi parlamentari possano essere ancora più complessi del negoziato stesso e come un accordo raggiunto con Bruxelles non significhi niente su un tema che spacca la politica e l'opinione pubblica (il 47% rivoterebbe leave e il 49% voterebbe per rientrare nella Ue) e che viene sistematicamente distorto da buona parte della stampa popolare. Per questo è essenziale che ogni premier britannico si mostri inflessibile e, magari aiutato dai tempi stretti e da un negoziato difficile, corrobori l'immagine del negoziatore indefesso che torna vittorioso dalla battaglia con i burocrati di Bruxelles: lo hanno fatto tutti in passato, da Maggie Thatcher a David Cameron.

Intanto gli ambasciatori Ue sono pronti ad avviare un processo di ratifica accelerato, mentre i funzionari hanno già iniziato ad analizzare gli elementi del testo approvato.

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I TEMPI
I deputati e i Lords inizieranno il processo di ratifica la settimana prossima, senza avere il tempo di analizzare i dettagli di un eventuale accordo. Ma per Johnson, che ha vinto le elezioni nel dicembre 2019 con la promessa di fare la Brexit e che ha avuto come principale straquella di minacciare di andarsene, si tratta di un risultato importante, anche perché la clessidra si sta svuotando e c'è solo una settimana per evitare che le scene di code e blocchi alla frontiera con la Francia che si sono viste in questi giorni per via della variante inglese del Covid diventino uno spettacolo permanente.

Un no deal, che Johnson chiama con un eufemismo accordo all'australiana (ovvero nessun accordo), avrebbe implicato, già dal primo gennaio, le tariffe altissime dell'Organizzazione mondiale del commercio e sebbene l'idea di una soft Brexit sia stata scartata molti anni fa ormai da una May decisa a rinunciare ai benefici del mercato interno a favore di una maggiore indipendenza, rimane una differenza considerevole tra la hard Brexit che comunque si andrebbe a fare e un no deal', opzione suicida che però ha finito col diventare popolare. Davanti alla situazione eccezionale della pandemia e del ritardo nei negoziati, la leader scozzese Nicola Sturgeon ha chiesto a Johnson di chiedere un'estensione del periodo di transizione, iniziato il 31 gennaio 2020, nel 2021. Bruxelles non sarebbe contraria, ma il premier, la cui credibilità è tutta legata alla promessa di get Brexit done, fare la Brexit, ha negato una tale ipotesi. E sulle voci di un accordo, la sterlina ieri aveva iniziato a salire.

 

Ultimo aggiornamento: 15:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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