Gran Bretagna, Boris Johnson è al capolinea: «Ma resisto». Fuga dal governo: si dimettono 41 tra ministri e sottosegretari

I fedelissimi a Downing Street: "Vai a casa". Licenziato anche l'amico alleato Michael Gove

Mercoledì 6 Luglio 2022
Gran Bretagna, governo nel caos: Johnson travolto da una valanga di dimissioni. «Ha le ore contate»
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LONDRA Boris Johnson «è assolutamente determinato» a rimanere in carica ed è convinto che dimettersi vorrebbe dire consegnare il Paese ai laburisti e al Partito Nazionale Scozzese, il quale preme per un nuovo referendum.

A nulla sono servite le dimissioni di 41 tra ministri e altri funzionari in meno di 24 ore, e nessun effetto è scaturito dalle pressioni dei suoi collaboratori più stretti, che ieri sera hanno raggiunto Downing Street per convincerlo a lasciare la leadership del partito e del governo.

Johnson, lo scandalo Pincher travolge il governo: si dimette anche il ministro delle Finanze

 

 

 

A guidarli il suo fedele alleato dai tempi della campagna pro Brexit, Michael Gove, che è stato licenziato dallo stesso Johnson al termine di una giornata piena di colpi di scena. E nel frattempo tutti i dossier che giacciono sul tavolo del governo, Brexit in primis, devono aspettare: cosa accadrà alla spinosa questione del protocollo dell’Irlanda del Nord che il parlamento stava per annullare parzialmente con una legge presentata lo scorso giugno in Camera dei Comuni? O delle misure contro l’inflazione e la crisi economica? Per i Tory, ora i problemi sono altri perché se i ribelli non sembrano intenzionati a fermarsi, lo stesso vale per Johnson. «Sono nelle trincee con lui ma siamo senza armi, siamo circondati e senza munizioni», ha detto ieri un fedele sostenitore del PM – rimasto anonimo – a Sky News. Ed è così che è andata. 


LA GIORNATA
Mentre BoJo si difendeva con le unghie e con i denti nei palazzi del potere – prima al question time di Westminster e poi davanti ai deputati del “Liaison Committee” – le defezioni aumentavano. Ma lui, con gli occhi increduli e la carnagione talvolta paonazza per la pressione delle domande incalzanti, è rimasto ancorato allo stesso ritornello che ripete incessantemente da mesi: rimanere in carica, andare avanti e continuare ad attuare il programma. Mentre combatteva la sua battaglia, però, a Downing Street i suoi alleati più fedeli, tra cui Michael Gove e Priti Patel, si erano riuniti per aspettarlo e convincerlo a fare il contrario, arrendersi.

Un intervento dell’ultimo minuto arrivato in seguito alla decisione da parte del 1922 Commettee di non modificare il regolamento che da 100 anni impone 12 mesi di attesa tra un voto di fiducia e il successivo. Al fine di liberarsi di Johnson, i ribelli sembravano disposti a fare perfino questo e lunedì prossimo, in occasione del rinnovo dei membri del 1922 Committee, potrebbero ancora riuscire in questo intento. 
Ventiquattro ore di fuoco, iniziate con l’attacco di Sajid Javid, dimessosi nella serata di martedì. «A un certo punto dobbiamo concludere che quando è troppo è troppo. E quel momento è ora», ha detto ieri in Camera dei comuni.

 
LA FUGA
L’ex ministro della Salute aveva dato inizio a un vero e proprio domino, seguito dal Cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak e da altri 37 tra ministri, sottosegretari e alti funzionari, che hanno deciso di lasciare il governo mettendo in discussione l’integrità del leader conservatore. Virginia Crosbie ha precisato che «il numero di accuse per comportamenti illegali e impropri, quasi tutti avvenuti a Downing Street durante la sua premiership, rende la sua posizione inaccettabile». «Integrità, decenza, rispetto e professionalità dovrebbero contare», ha scritto invece Victoria Atkins mentre Stuart Andrew nella sua lettera di dimissioni ha voluto sottolineare che «fiducia, verità e integrità» sono vitali in politica e i Tory non dovrebbero «difendere l’indifendibile». Un vero e proprio tsunami con un messaggio molto chiaro: il futuro del partito non appartiene più a BoJo.


La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la nomina di Chris Pincher a vice capogruppo nonostante, ha ammesso Johnson poi, fosse a conoscenza di precedenti accuse di molestie sessuali nei suoi confronti. E dal Partygate a oggi, scandali e bugie hanno ridotto la sua popolarità a tal punto da trasformarlo, per molti suoi colleghi di partito, in una zavorra. Per i ribelli non è più il candidato vincente in grado di assicurare ai Conservatori una vittoria come quella record alle politiche del 2019. Lo spirito, però, è più combattivo che mai: «Se devo morire - avrebbe detto ieri notte ai suoi - lo farò lottando». 

Ultimo aggiornamento: 8 Luglio, 10:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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