Un video di cinque minuti in cui ha deciso di dire basta, di denunciare e di raccontare a tutti il suo dolore. A parlare è Cécile Djunga, conduttrice televisiva belga, sommersa ormai da mesi di insulti di stampo razzista. In un video apparso sulla sua bacheca Facebook, la giovane conduttrice ha raccontato tutto quanto le è accaduto in tv per colpa del colore della sua pelle. Cécile racconta che un telespettatore ha addirittura telefonato all'emittente televisiva presso cui lavora lamentandosi del fatto che la ragazza fosse «troppo nera».
«Non si fermano - spiega la conduttrice nel video - faccio questo lavoro da un anno e non ne posso più di ricevere tonnellate di insulti razzisti. Fa male perché sono un essere umano». Ma quella di Cécile è anche una denuncia sociale, il suo intento è quello di «far aprire gli occhi a chi è convinto che in Belgio il razzismo non esista». Nel corso del breve filmato, la conduttrice afferma: «Sono belga a adesso devono smetterla di dirmi di tornare nel mio paese. Perché questo è il mio paese».
Cécile ha ricevuto pieno sostegno dalla Rtfb, la televisione pubblica per cui lavora, che si è esposta pubblicamente in suo favore dichiarando: «Per questo fiume di fango non c'è posto in Belgio, perché il razzismo è un crimine perseguibile per legge».
Ultimo aggiornamento: 10 Settembre, 19:01
© RIPRODUZIONE RISERVATA «Non si fermano - spiega la conduttrice nel video - faccio questo lavoro da un anno e non ne posso più di ricevere tonnellate di insulti razzisti. Fa male perché sono un essere umano». Ma quella di Cécile è anche una denuncia sociale, il suo intento è quello di «far aprire gli occhi a chi è convinto che in Belgio il razzismo non esista». Nel corso del breve filmato, la conduttrice afferma: «Sono belga a adesso devono smetterla di dirmi di tornare nel mio paese. Perché questo è il mio paese».
Cécile ha ricevuto pieno sostegno dalla Rtfb, la televisione pubblica per cui lavora, che si è esposta pubblicamente in suo favore dichiarando: «Per questo fiume di fango non c'è posto in Belgio, perché il razzismo è un crimine perseguibile per legge».