Draghi al Colle divide i poli. ​Letta spinge per un accordo sul premier. E Conte: «Da noi nessun veto»

Vertice tra Pd, M5S e Leu a casa dell’ex premier: «Decidere con il centrodestra»

Giovedì 20 Gennaio 2022 di Alberto Gentili
Draghi al Colle divide i poli. Letta spinge per un accordo sul premier. E Conte: «Da noi nessun veto»

Enrico Letta e Roberto Speranza, dopo poco meno di due ore trascorse in casa di Giuseppe Conte a discutere di Quirinale, sono arrivati a una conclusione: «La candidatura di Berlusconi non è in campo, si è rivelata illusoria», come dice il segretario del Pd. Una sorta di bluff che, a giudizio dei leader del fronte progressista, è ormai evaporato. Perciò è arrivato il momento per discutere alla pari con il centrodestra - «perché nessuno ha diritto di prelazione sul Colle, nessuno ha numeri per fare da solo» - «scegliendo insieme il nome del candidato» per la presidenza della Repubblica. Non a caso, Letta dichiara: «Non c’è alcuna intesa tra noi sui nomi perché ne parleremo con il centrodestra nei prossimi giorni». In realtà c’è un nome per gran parte del Pd: Mario Draghi. E a fine giornata, dopo diverse contorsioni, Conte sembra accettarlo. O quasi.
La raccomandazione dei tre leader del campo progressista a Matteo Salvini e Giorgia Meloni è fare presto.

Si sbrighino a tirare fuori il “piano B”, perché in una fase così complessa per il Paese rinviare la soluzione per il Quirinale «è da irresponsabili». Per dirla con Letta all’Huffington: «È arrivato il momento di parlarsi e di trovare un nome condiviso. Serve un accordo su una personalità in linea con quel che ha rappresentato Mattarella e su un anno di vita forte e produttiva del governo».

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Insomma, i tre leader progressisti tornano a proporre al centrodestra un accordo fondato su due pilastri. Il primo è un’intesa «la più ampia possibile» per la scelta del nuovo capo dello Stato che può essere «Mattarella, Draghi o un nome condiviso da una maggioranza ampia almeno quanto quella che sostiene il governo». Questo per non sbriciolare il patto di unità nazionale su cui si fonda l’esecutivo. Il secondo pilastro è un «patto di legislatura», dunque fino al 2023, per consentire al governo di continuare «rafforzato» il proprio lavoro, contrastando la pandemia e soprattutto “mettendo a terra” il piano da 220 miliardi del Recovery Fund. Impresa titanica perfino per Draghi.

ZUFFA SU DRAGHI, POI LA PACE
Proprio sul destino dell’ex presidente della Banca centrale europea però il fronte progressista si spacca. Letta ritiene che «la protezione di Draghi» debba essere «l’obiettivo di tutte le forze politiche», in quanto l’ex capo della Bce «è la risorsa fondamentale del Paese e ci fa da scudo rispetto alle nostre debolezza, a partire dal debito». Da qui «la necessità di fare tutto quello che è necessario per non sbagliare i prossimi passaggi». E mentre Speranza viene descritto «aperto» sulla questione, Conte sia per ragioni personali (non vorrebbe premiare chi lo sfrattò da palazzo Chigi), sia per tenere buono l’esercito sbrindellato dei 5Stelle, punta invece a non toccare l’organigramma dell’esecutivo. E dunque a non spostare Draghi al Quirinale per non rischiare le elezioni anticipate. Non a caso durante il vertice è stato diretto: «I nostri gruppi parlamentari sono contrari e anche i vostri. Noi la candidatura di Draghi non la reggiamo». E fonti vicine al leader dei 5Stelle poco più tardi hanno fatto trapelare: «Bisogna trovare un nome alternativo a Draghi perché è opportuno che resti alla guida di Palazzo Chigi, senza di lui è difficile che il governo regga».

La reazione del Pd non è tardata. Letta, che non vuole veti su Draghi, ha fatto mettere al “suo” Enrico Borghi i puntini sulle “i”: «Conte contrario a Draghi? Nomi non ne sono stati fatti. E per noi il premier è un valore aggiunto, serve un percorso che tuteli una risorsa importante come lui». Poco dopo, per evitare tensioni, è arrivata la frenata a metà dei 5Stelle: «È vero, nomi non ne sono stati fatti per lasciare aperte tutte le opzioni. Ma noi siamo per la continuità di governo». Più o meno le parole spese in serata da Conte al Tg3, con un’aggiunta: «Non poniamo assolutamente dei veti» a Draghi, «guardiamo soltanto all’interesse del Paese».
In ogni caso, nella speranza che quanto prima si diradi la nebbia con il passo indietro di Berlusconi, i tre leader scelgono una linea attendista e si dichiarano «uniti» e «compatti». Tant’è, che al termine del vertice hanno twittato all’unisono: «Ottimo incontro. Lavoreremo insieme per dare al Paese una o un Presidente autorevole in cui tutti possano riconoscersi. Aperti al confronto. Nessuno ha diritto di prelazione. Tutti abbiamo il dovere della responsabilità».

FUORI DALL’AULA
Per far evaporare del tutto la candidatura di Berlusconi, anche Conte mette sul tavolo la minaccia dell’Aventino cui in origine era contrario: «Siamo disposti ad adottare qualsiasi strategia per far saltare la candidatura del Cavaliere, compresa l’uscita dall’Aula alle prime tre votazioni se il suo nome restasse in campo». 
Ora la palla torna al centrodestra, impantanato nella candidatura di Berlusconi.
 

Ultimo aggiornamento: 14:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA