Quirinale, scheda bianca da entrambi i poli. Letta: verifica su Draghi

Ancora stallo ma il premier si rafforza. Il capo dem: Mattarella sarebbe il massimo

Lunedì 24 Gennaio 2022 di Alberto Gentili
Quirinale, scheda bianca da entrambi i poli. Letta: verifica su Draghi

Tutti dicevano che tolta dal tavolo l’ingombrante candidatura di Silvio Berlusconi, la trattativa per il Quirinale sarebbe finalmente entrata nel vivo. Invece è ancora stallo. E la prima votazione fissata per oggi pomeriggio, trova centrodestra e centrosinistra senza vie di fuga. Senza approdi. Tant’è, che il Pd ha già deciso di votare scheda bianca e con ogni probabilità gli altri partiti faranno lo stesso. La partita vera, insomma, comincerà da giovedì, quando dal quarto scrutinio basterà la maggioranza dei 1009 grandi elettori per eleggere il nuovo capo dello Stato. Nelle prossime ore la situazione potrebbe sbloccarsi: oggi ci sarà l’atteso faccia a faccia tra Matteo Salvini ed Enrico Letta e domani o mercoledì verrà celebrato (forse) un vertice plenario (proposto dal centrosinistra) tra «tutti i leader e tutti i capigruppo parlamentari».

«Sono ottimista, il candidato condiviso si troverà entro 72 ore, entro mercoledì», azzarda il segretario del Pd che lavora per portare Mario Draghi sul Colle: «Il nome è sul tavolo.

Quando vedrò Salvini per prima cosa gli chiederò se il suo stop» al premier «è ultimativo oppure no», dice a “Che tempo che fa”. Non solo. Letta parlerà con il leader leghista anche del bis di Sergio Mattarella: «Sarebbe il massimo, la soluzione ideale e perfetta». Già, perché a dispetto delle resistenze del capo dello Stato uscente, confermerebbe lo schema attuale: Mattarella sul Colle, Draghi a palazzo Chigi. E tutti (o quasi) vivrebbero felici e contenti.

Come dice però Matteo Renzi (con cui Letta dice di lavorare «di comune accordo»), «al Quirinale non si va contro i partiti, serve un’iniziativa politica». Dunque, «la prima possibilità è che si vada su un presidente che garantisca Draghi a Palazzo Chigi, perché non possiamo permetterci di perderlo». Ma il quadro della trattativa è così in alto mare, che appare lontana l’ipotesi di un accordo per il Colle che replichi quel patto di unità nazionale capace di garantire la permanenza dell’ex capo dell Bce alla guida del governo. Finora Letta ha bocciato i nomi fatti filtrare da Salvini: Elisabetta Casellati, Marcello Pera, Letizia Moratti, Carlo Nordio. E Salvini ha cassato le ipotesi fatte filtrare da Letta, a cominciare da Giuliano Amato. 

Se si andrà avanti così, con questo perfido gioco a bruciare i candidati della controparte, sarà impossibile trovare un Presidente che piaccia a uno schieramento che va da Leu alla Lega, com’è l’attuale maggioranza. E alla fine «si tornerà su Draghi per non perderlo e non fare un danno irreparabile al Paese», dice un autorevole esponente dem, «oppure ci dovrà essere un’amplissima convergenza per spingere Mattarella ad accettare il bis». Altra ipotesi, che continua a essere considerata «forte» nonostante lo stop di Salvini («non è una proposta nostra») è quella di Pier Ferdinando Casini, ricordato come un ottimo presidente della Camera bipartisan. Quest’ultima opzione, se passerà con i voti della maggioranza di unità nazionale, potrebbe permettere a Draghi (ieri a passeggio per Città della Pieve con il suo bracco) di restare a palazzo Chigi. «Perché non è vero che Mario rimarrà premier solo se al Quirinale resterà Mattarella. Lui non fa ripicche, è al servizio del Paese», dice chi ha parlato con l’ex capo della Bce.

 

VETI E CONTRO VETI

Di certo, in queste ore di stallo e d’incertezza - dove l’intesa per il Colle passa per il tentativo di un «patto di legislatura» con cui tenere in vita il governo e scongiurare le elezioni - c’è che Salvini continua a dire (almeno ufficialmente) “no” a Draghi: «E’ pericoloso toglierlo da palazzo Chigi». E rivendica il «diritto-dovere» di scegliere il nome del nuovo Presidente: «Proporrò una rosa di candidati di altissimo profilo». Renzi gli dà ragione: «Ha la forza dei numeri, l’iniziativa tocca a lui. Tanto più che il capo dello Stato può essere di destra, mica deve essere per forza di sinistra». Ma Letta si mette di traverso: «Non voteremo mai un nome di centrodestra. Nessuno vanta diritti di prelazione e nessuno ha i voti per eleggersi da solo il capo dello Stato». Ergo: «Ulteriori candidature di destra faranno la stessa fine di quella di Berlusconi».

IL VERTICE & RICCARDI

Una posizione condivisa nel vertice celebrato ieri mattina assieme a Giuseppe Conte, Roberto Speranza e i capigruppo Debora Serracchiani, Simona Malpezzi, Loredana De Petris, Federico Fornaro, etc. Nelle due ore di incontro, dove con «soddisfazione» è stato accolto il passo indietro del Cavaliere, tutti giurano (e spergiurano) che non sono stati fatti nomi. E che il centrosinistra non ne farà: «Siamo troppo deboli e troppo divisi», allarga le braccia un partecipante. Così il fronte progressista si limita a dettare il solito identikit del capo dello Stato perfetto: «Di alto profilo, largamente condiviso, in grado di rappresentare tutti gli italiani». E a individuare in Andrea Riccardi il «nome giusto, per quello che rappresenta», secondo Letta. Peccato però che la candidatura del fondatore della Comunità di Sant’Egidio sia stata fatta trapelare e subito bocciata da Renzi: «Non ha chance». La colpa? «A proporre Riccardi è stato Conte e qualcuno del Pd l’ha fatto uscire per bruciarlo all’istante», sibila un altro partecipante al summit.

Malignità a parte, Letta come si diceva spinge per Draghi: «Svolge un ruolo fondamentale in Italia, in Europa e nel mondo». E sta cercando disperatamente di strappare il premier al vortice della presunta riscossa della politica sui tecnici: «Non dobbiamo cedere alla retorica della politica versus tecnocrazia a cui non credo, ma lavorare per una politica davvero al servizio del Paese in un quadro difficile». E per il segretario dem la «politica al servizio del Paese» ora deve puntare su Draghi. Posizione però non condivisa da Conte, né da un fetta importante del Pd, Dario Franceschini incluso. La spiegazione: se Draghi va al Colle senza un patto di legislatura, è un salto nel buio. Replica del Nazareno: «Con Draghi al Quirinale sarà lui a garantire il patto di legislatura fino al 2023».

Letta però per poter puntare seriamente su Draghi, oltre ad alzare l’asticella del «candidato condiviso e non di centrodestra», ha bisogno di tenere compatti i suoi e di sminare i franchi tiratori. Così all’assemblea dei grandi elettori dem lancia una raffica di appelli: «Dobbiamo fidarci tra di noi». «Abbiamo l’opportunità di dimostrare che siamo adulti e non una classe di ragazzini della materna». Infine il leader del Pd annuncia scheda bianca per il voto di oggi: «Va dato un segno di disponibilità e di apertura all’interlocuzione». Insomma, si prova a trattare. «Ma Letta la smetta di mettere veti», avverte Salvini.

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