Gli alleati sono alquanto indispettiti: «Berlusconi ha accettato di fare il summit del centrodestra, e deve aver capito anche lui che non se ne può più di questa perdita di tempo, ma ancora fa la sfinge: sono in campo, non sono in campo.
L’ex premier fa e rifà i conti della sua candidatura - «I numeri sono buoni», assicura - e vorrebbe andare dritto alla quarta votazione ma anche lui comincia a ricredersi vedendo il vuoto intorno, ovvero i partner della Lega e di Fratelli d’Italia che hanno altre opzioni, quella della Casellati anzitutto, ed è tormentato dal dubbio se arrendersi o meno. La riserva sta per essere sciolta e non è escluso - «La notte porta consiglio», ha detto agli ultimi con cui a parlato ieri sera tardi, dopo che in giornata ha convocato ad Arcore i capigruppo Bernini e Barelli più la Ronzulli e Fedele Confalonieri ma non Gianni Letta - che possa gettare la spugna. Anche chi dei suoi lo spingeva al grande passo ora frena: «Candidarsi al Colle è una decisione delicata, il Presidente sta pesando i pro e i contro». E c’è chi dice che i pro sono il 70 per cento e contro il 30 (il che è già è un passo indietro rispetto al resistere-resistere-resistere a dispetto di un pallottoliere che non ha portato i frutti sperati) e chi rovescia le percentuali.
REDDE RATIONEM
Salvini e Meloni, con cui il Cavaliere ha parlato ieri accettando il summit che lui avrebbe volentieri evitato, stanno già lavorando oltre la prospettiva della candidatura berlusconiana, sembrano aver già elaborato il lutto in cui Silvio è ancora immerso e il leader leghista ieri sera ha tenuto a far sapere che è in modalità «lavori in corso», che ha contattato tutti i leader politici e che «il centrodestra unito avrà l’onere di proporre per il Colle una candidatura di alto profilo». Non dice quella di Berlusconi, ma neppure lo esclude in attesa del redde rationem di oggi, e comunque il nome di Casellati - l’eventuale Capo dello Stato che più facilmente nominerebbe Berlusconi senatore a vita - potrebbe essere quello che verrà avanzato nel summit delle prossime ore. Sono molto abbottonati i big forzisti un po’ perché Berlusconi non sta dicendo niente pure a loro e un po’ perché si accorgono che la via è strettissima. La resistenza, se ancora oggi dovesse esserci, sarà a tempo.
«Io posso pure fare un passo indietro, ma voi dovete dimostrarmi che c’è qualcuno più attrattivo di me. Finora non ho visto in campo giganti...»: questo al momento il mood con cui Silvio affronta gli alleati. I quali oggi gli diranno per l’ennesima volta di voler vedere i numeri emersi dalla caccia a strascico dei grandi elettori ma lui le cifre le terrà per sé, pronto ad aggiungere: «Mancano altri giorni fino al 27, quello della quarta votazione, e da adesso a giovedì ci sarà altro tempo per trovare consensi». Ma perfino i suoi più fedelissimi questa caccia ai consensi non la considerano ben avviata: «Sgarbi il telefonista ha fatto solo pasticci e ci ha esposto a brutte figure». Se non molla ora mollerà poi. Quanto a Draghi, se il premier dovesse traslocare al Quirinale, nel rimpasto di governo Berlusconi non solo potrebbe chiedere nuovi ministri (gli attuali non appartengono al cerchio magico) ma anche Gianni Letta come sottosegretario alla presidenza del consiglio. A queste condizioni - ma è uno scenario ancora precoce e secondo Tajani «non c’è nessuna ragione di cambiare i nostri tre ministri, stanno lavorando bene» - Silvio potrebbe offrire la sua non ostilità all’ascesa di Draghi sul Colle. Ma tali manovre vanno preparate in tempo, gli suggeriscono i suoi consiglieri di pace, senza attardarsi in un’auto-candidatura che, al di là dell’esito del summit odierno, Salvini (a cui Silvio non vuole dare la soddisfazione di fare il king maker) e Meloni considerano il passato di un’illusione.