Noi e la Nato/ Vanno tutelati i nostri interessi in un quadro che è cambiato

Mercoledì 8 Gennaio 2020 di Vittorio Parsi
La morte del generale iraniano Soleimani sta producendo una serie di conseguenze dalle molteplici incognite. La logica della strategia americana si direbbe quella di elevare il livello dello scontro con l’Iran per rintuzzarne gli oggettivi successi regionali e provare a rendere più costosa la rinnovata influenza russa nella regione. La perentorietà nei toni e nelle affermazioni che provengono da Washington non riesce tuttavia a celare la sensazione che decisioni strategiche (sia pure vantaggiose per Trump) siano state assunte in maniera frettolosa. Anche se le ricadute sono ancora tutte da decifrare.

La vicenda della lettera del comandante della task force Usa in Iraq preannunciante le disposizioni per il ritiro delle truppe dal Paese (poi poco credibilmente derubricata a «bozza da non far circolare») è un chiaro segno della incertezza che si profila all’orizzonte. Il rapporto con gli Stati Uniti resta ovviamente cruciale per la nostra sicurezza, a prescindere da chi sieda alla Casa Bianca. 

Ciò detto, occorre prendere atto della rocambolesca imprevedibilità degli ultimi passaggi (peraltro già sperimentata su altri dossier, dalla Corea del Nord alla guerra commerciale con la Cina, alla Siria) e tenerne conto nelle nostre valutazioni. 

Soprattutto quando esse riguardano un quadrante estremamente infiammabile come il Medio Oriente allargato e coinvolgono la sicurezza dei nostri soldati. Per noi che, oltre agli 850 militari in Afghanistan, abbiamo quasi 1.000 effettivi schierati in Iraq e oltre 1.200 in Libano, si pone una duplice questione, legata sia al cambiamento di scenario prodotto dalle modalità della morte del generale Soleimani sia alla manutenzione della rete di alleanze di cui facciamo parte.

Quella irachena e quella libanese sono missioni differenti (coalizione a guida americana contro l’Isis la prima, missione Onu di peacekeeping la seconda) ma simili (comunque su invito delle autorità nazionali) e con finalità di stabilizzazione complessiva e rischi (il Libano meridionale è la roccaforte di Hezbollah) che sono parzialmente interdipendenti. 

Qualora gli Stati Uniti dovessero continuare ad agire in Medio Oriente nel perseguimento di un proprio esclusivo disegno, a prescindere da rischi e costi cui espongono gli alleati, dovremmo adoperarci per fare emergere una posizione europea (e il Regno Unito è ormai fuori d’Europa), che chiarisca i limiti oltre i quali la solidarietà atlantica non può essere scontata. 

Non si tratta di un obiettivo semplice da conseguire, riconoscendole logiche anche nazionali con cui i singoli Stati europei agiscono, ma è decisivo per la comune sicurezza e per impedire che altri attori (quali Iran, Turchia, Egitto...) ci danneggino tutti proprio sfruttando le nostre divisioni, come il lungo e disastroso duello ingaggiato da Francia e Italia in Libia dovrebbe rammentarci.

Le dichiarazioni rese da Stoltenberg a chiusura del vertice straordinario degli ambasciatori di lunedì scorso hanno ribadito due cose, peraltro note. La scarsa rilevanza che l’amministrazione Trump sembra fin qui annettere alla Nato e il balbettio che l’organizzazione esprime quando non può né allinearsi completamente né prendere le distanze rispetto agli Usa. Tra gli alleati sorprende la Francia, che ha finora avuto una “agenda iraniana” diversa e che forse pensa di triangolare il sostegno alla posizione trumpiana verso Teheran con il proseguimento del benevolo disinteresse americano nei confronti della ambigua politica francese in Libia. Si tratta di una scommessa piuttosto azzardata, dato che anche Parigi ha truppe in quel Libano dove prima e più facilmente potrebbe colpire la “vendetta sciita”. 

Una mossa, soprattutto, che brucia sul tempo il possibile disegno di un analogo “scambio” da parte nostra. Che sarebbe stato comunque velleitario, considerando la debolezza della nostra “strategia” libica degli ultimi anni e il fatto che noi chiederemmo agli Usa di cambiare registro, sostenendociin Libia non solo a parole: francamente, non si capisce bene a fronte di che cosa, vista la clamorosa perdita della nostra influenza a Tripoli.
 
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