Nuovi equilibri/ La frenata Cina-Usa vera chance per l’Europa

Sabato 18 Aprile 2020 di Vittorio Emanuele Parsi
Ieri dalla Cina sono arrivati due numeri, entrambi preoccupanti: 3869 e meno 6,8%. Cioè la rettifica del numero dei morti a Wuhan (il 50% in più di quanto finora comunicato) e il calo percentuale del Prodotto interno lordo cinese nel primo trimestre del 2020. Presi insieme ci possono fornire qualche indicazione sull’impatto che la pandemia ha avuto sul posizionamento della Cina.

Ne esce rafforzato il dubbio sulla trasparenza oltre che sulla tempestività con le quali sono state gestite le informazioni sul Covid-19. Come tutti sappiamo, il virus si è manifestato per la prima volta in Cina e, questo semplice fatto ha appannato il prestigio cinese nel mondo. Pechino ha infatti condotto un’impressionante controffensiva mediatica, nutrita anche di “imprese” spettacolari e gesti generosi, per far sì che la nuova immagine di “primo Paese guarito” offuscasse completamente quella di “Paese d’origine della pandemia”. La rettifica dei numeri è un colpo inferto a questa strategia.

Con il dato sul calo del Pil trimestrale si fanno più incerte anche le capacità di una celere ripresa dell’economia cinese. È il primo con segno negativo mai registrato negli ultimi 28 anni (cioè da quando si è iniziato a calcolarlo). La perdita dovrebbe essere recuperata entro la fine dell’anno con un incremento che si attesterebbe intorno all’1,2%. Quest’ultima stima è dell’Fmi, che però avverte che l’intera Asia, per la prima volta da 60 anni a questa parte, dovrebbe registrare una “crescita zero”. Un dato che ci dice che per il primo Paese esportatore al mondo le prospettive di rapida ripresa nel 2021 potrebbero essere peggiori del previsto.

La leadership globale cinese forse potrà attendere. Ma non è che il leader attuale appaia poi in grande spolvero. 4591 morti nelle ultime 24 ore, con un numero complessivo di decessi (33.300) che con questa progressione potrebbe arrivare a superare quello dei morti americani nella guerra del Vietnam (circa 58.000). L’impatto della pandemia sull’economia americana si prevede devastante con una previsione di un calo del Pil nel 2020 pari al 5,9% e con già ora 22 milioni di disoccupati. Ma è il fallimento totale del suo sistema sanitario che offre l’immagine di un Paese piegato. Covid-19 potrebbe essere l’equivalente di Saigon 1975 in termini di danno al prestigio degli Stati Uniti: le fosse comuni scavate a New York come l’elicottero che fugge dal tetto dell’ambasciata americana nella capitale del Sud Vietnam. Trump parla di ripartenza, il dottor Fauci si mostra scettico, mentre le immagini delle migliaia di cittadini armati fino ai denti che in Michigan chiedevano la fine del lockdown fanno il giro del mondo: mai come ora quello americano appare lontano da essere un modello.

Contemplando l’Europa, colpita in maniera massiccia dalla pandemia, viene da interrogarsi se, paradossalmente, questa crisi e questa prova drammatica non possano dirci qualcosa di diverso sul nostro futuro. Nonostante il numero drammatico di morti e ammalati e le previsioni fosche per l’andamento del Pil, la sensazione è che il quadro europeo sia migliore di quello cinese (per le prospettive della democrazia) e americano (per la tenuta del sistema sociale). Se riuscirà a far prevalere le ragioni di uno sforzo anche economico comune, l’Europa potrebbe ritrovarsi più solida e nuovamente capace di incarnare un modello attrattivo. E l’Italia potrebbe rappresentare l’epicentro di questa ripresa. La presidente della Commissione europea lo ha implicitamente riconosciuto quando ha parlato di “scuse dovute all’Italia”. Scuse che acquisteranno un senso solo se l’Europa si compatterà, mostrandosi generosa: non verso l’Italia ma verso se stessa.

Per una volta, siamo noi in credito con gli altri. Che guardano stupiti alla sostanziale tenuta del sistema sanitario pubblico e alla straordinaria disciplina degli italiani. Ma anche alla forza della nostra organizzazione sociale, con migliaia di giovani impegnati a distribuire alimenti e medicinali a chi non può muoversi di casa o non può permettersi di acquistarli. “Crescita nella solidarietà” è stato il motto del modello economico-sociale europeo. Ed è a questo che oggi l’Italia si richiama nella battaglia comune (a noi, ai francesi, agli spagnoli e persino a chi vi si oppone) per gli eurobond. Battaglia comune perché indica a tutta Europa il grande futuro che ancora ha davanti, se solo saprà ritrovare il suo futuro nelle sue radici: il senso di un progetto politico, economico e sociale che va oltre quello di un mercato comune. Con una grande occasione davanti.
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