Il ruolo italiano/ Quel conflitto Pechino-Usa che la Ue unita deve evitare

Mercoledì 13 Marzo 2019 di Romano Prodi
Pronunciarsi in favore o contro l’accordo che sarà firmato fra il presidente cinese e il governo italiano mi è semplicemente impossibile, dato che non mi sono noti i campi e i termini nei quali questo testo verrà siglato. È quindi altrettanto impossibile stabilire se esso andrà contro precedenti accordi o comuni decisioni dell’Unione Europea. È però utile definire i confini entro i quali ci muoviamo, precisare gli interessi nazionali da portare avanti da soli e quelli che possiamo e dobbiamo difendere soltanto nell’ambito di una politica europea.

Si deve, per prima cosa, premettere che le politiche commerciali sono di totale competenza europea: riguardo ad esse non vi può essere nessuna autonoma presa di posizione italiana. Quanto alla proposta della Nuova Via della Seta, essa, anche se vi sono crescenti problemi sulle sue modalità di esecuzione, ha suscitato l’interesse di tutti i Paesi europei tanto che, Germania e Polonia in testa, si sono affrettati a concludere accordi per nuovi collegamenti ferroviari. Purtroppo, mentre gli altri hanno agito nel proprio interesse, noi non ci siamo attrezzati per il collegamento con l’Italia anche se, insieme a tutti i maggiori Paesi europei a partire dalla Gran Bretagna, ci siamo giustamente affrettati ad aderire alla Banca Asiatica degli Investimenti e delle Infrastrutture, banca che costituisce il supporto finanziario alla stessa Via della Seta.

Non solo i trattati commerciali ma anche gli interessi economici hanno quindi spinto gli Stati europei ad approfittare delle nuove opportunità che il grande sviluppo asiatico stava preparando per tutta l’Europa. Con lo stesso obiettivo le imprese americane ed europee hanno, fino a un recente passato, moltiplicato i loro investimenti in Cina e hanno aperto le porte agli investimenti cinesi, anche se alcuni Paesi, cominciando dagli Stati Uniti e arrivando all’Italia, sopportano un pesante passivo della propria bilancia commerciale mentre altri, come la Germania e l’Olanda, registrano invece un costante attivo. Credo che in questo campo l’Italia possa e debba fare molto di più perché abbiamo con la Cina un commercio relativamente modesto (simile a quello con la Spagna) e un export pari alla metà delle nostre importazioni.

Se la politica commerciale deve essere vista con ottica europea la politica che riguarda i porti, così calda nella polemica di questi giorni, deve essere invece valutata con un’ottica puramente italiana. In conseguenza del grande sviluppo asiatico il commercio verso est sta addirittura superando il traffico dell’Atlantico. In questo campo non esiste una politica europea ma una concorrenza fra Paesi europei. Fino ad ora la parte del leone è stata giocata da Rotterdam e dai porti del nord-Europa, anche se il viaggio per arrivare ad essi dall’Asia è di quattro o cinque giorni più lungo rispetto ai porti del Mediterraneo. In seguito si è svegliato il Pireo, in buona parte di proprietà cinese. Tuttavia il congiungimento più efficace fra l’Asia e l’Europa fa capo all’Alto Adriatico e all’Alto Tirreno, che sono a due passi dai grandi mercati dell’Unione. Eppure ne rimaniamo periferici. Se i non ancora noti accordi prevedessero investimenti cinesi in questo campo essi dovrebbero essere ben accolti, anche se messi in atto attraverso la proprietà di parte dei nostri porti. Nessun investitore, a qualsiasi Paese appartenga, può infatti portarci via i nostri moli e le nostre banchine. 

Per mancanza di conoscenze è difficile dare un giudizio se in altri campi molto delicati, come quello delle reti di comunicazione e delle tecnologie relative (come il 5G) ci possano essere accordi tali da mettere a rischio i legami con gli Stati Uniti. Legami che sono sempre stati e, seppure con recenti incomprensioni, sono ancora il punto di riferimento sia della politica europea che di quella italiana. In questo caso, anche se non in conseguenza di una cessione di sovranità come nel settore del commercio ma per una nostra convenienza politica, abbiamo evidentemente l’interesse (o meglio l’obbligo) di consultarci con i nostri partner europei e con gli americani, facendo valere i nostri interessi nazionali nel loro legame con gli obblighi comuni. 
Vi sono inoltre tanti campi nei quali, come ho ripetutamente affermato, Europa e Cina hanno convenienza a collaborare, come ad esempio in una campagna di grandi investimenti in Africa, perché entrambi abbiamo interesse ad un pacifico sviluppo di questo continente. 

Mi auguro che tutti questi temi vengano approfonditi nel prossimo incontro fra Cina e Italia con la massima franchezza, nella difesa dei comuni interessi e nel rispetto degli impegni esistenti. Da parte italiana mi auguro anche che si spinga affinché la Cina apra negoziati su alcuni punti controversi come il diritto di proprietà intellettuale e il rispetto della disciplina dei brevetti. Si dovrebbe inoltre invitare la Cina a non insistere troppo su una divisione all’interno dell’Unione Europea con la così detta politica dei 16+1 che sembra volere adottare una specie di “divide et impera” fra i Paesi dell’Est e dell’Ovest. Il che non è interesse di nessuno.
Solo una grande Europa Unita può infatti evitare quel conflitto fra Stati Uniti e Cina che molti ritengono inevitabile ma che sarebbe una catastrofe per il mondo intero. Mi auguro che, anche se non se ne conosce ancora il contenuto, quanto si firmerà nei prossimi giorni a Roma possa tenere presente questi interessi e questi problemi, che sono vitali non solo per i rapporti fra Italia e Cina ma per il futuro di tutti noi.
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