Un verdetto che rafforza Virginia e scuote i partiti senza candidati

Domenica 20 Dicembre 2020 di Mario Ajello

Virginia Raggi è la sindaca che, prima ancora di poter essere giudicata per quanto ha fatto per Roma, è quella che ha azzerato il malaffare in questa città che pareva condannata a dover sopportare i poteri marci intrinsechi alla politica e all’amministrazione.

Questo è un merito e non le può essere disconosciuto.

E allora la sentenza di assoluzione vale anzitutto a togliere dal campo quella che sarebbe stata una narrazione paradossale. In cui finiva condannata per malversazioni - sotto l’accusa di falso nella vicenda Marra - chi è contestabile sul piano dei risultati di governo ma si è distinta sul piano della legalità e del buon uso delle sue facoltà contro il solito andazzo della corruzione, dei favoritismi sottobanco, dell’alterazione dell’economia di mercato in una grande Capitale in cui gli amici e gli amici degli amici contavano e lavoravano più dei meritevoli. E questo ha danneggiato Roma e l’ha privata della sua dignità e del suo rango. 

La carenza di attitudini pratiche è l’altra faccia purtroppo di questa medaglia. L’assoluzione della Raggi s’inserisce in una situazione così. E va a cadere in una campagna elettorale cominciata già da un po’ ma che presenta - e questo più che un paradosso è un’assurdità, un’anomalia, una vergogna - un vuoto di proposte e di candidati, tranne Calenda e appunto la Raggi. La quale però fino a ieri era una candidata a metà, quasi una volontaria del bis per il Campidoglio non sostenuta dal suo partito. Ora cambia tutto. Virginia si rafforza. E la sua assoluzione, nel fuggi fuggi dell’impegno per la Capitale degli altri partiti e di figure professionali che potrebbero spendersi per Roma ma hanno paura e non convenienza di farlo, finisce per diventare l’unico fatto politico rilevante di questa fase di stallo. 

E’ triste dover constatare che serve una verdetto giudiziario per smuovere la palude. Nell’assenza di ogni altro tipo di chiarezza, questa sentenza è un punto fermo. Che dice anzitutto una cosa: la Raggi, al netto per ora del giudizio che i romani possono dare e daranno sul suo operato amministrativo, è in campo a pieno titolo. Ovvero: M5S, che pure era pronto a scaricare la sua sindaca in caso di condanna, adesso per forza di cose adotta di nuovo Virginia. E non può che sostenerla nella sua corsa (difficoltosa assai) alla conquista del Campidoglio. Che si basa più che altro sul dato di fatto di cui sopra: si è realizzato poco o niente per questa città durante la sindacatura in corso, tranne aver essiccato quel grumo di marciume invasivo e accoccolato in certa sinistra, pronta a riaffermarsi, se dovesse mancare un argine robusto. 

Pesa profondamente la vaghezza sui destini della Capitale, dove manca in tutti o quasi l’aspirazione a volerla guidare. In questa nebbia intorno al Campidoglio, la Raggi ha buon gioco a riproporre se stessa, tentando questo tipo di discorso che le sarebbe stato impossibile nel caso di una condanna: tutti scappano, mentre io comunque ci sono e di tutto mi si può accusare tranne che di scorrettezze. Questo è tanto? E poco? Non è abbastanza, ma così è. 
E si spera che valga come scossa multipartisan la sentenza di ieri. Che agisca come doping di impegno per tutti, destra e sinistra, a trovare ognuno il proprio sfidante della Raggi. Basta che sia una figura di rilievo, di assoluta competenza pratica ma anche di visione, dedita ai problemi amministrativi della quotidianità ma pure consapevole della funzione enorme e irrinunciabile che Roma svolge per l’intero Paese e di quanto l’immagine dell’Italia nel mondo dipenda dalla buona salute e dall’ambizione della sua città più rappresentativa. 

Insomma la fisionomia del nuovo sindaco che serve non può essere quella di uno dei “sette nani” del Pd, che aspirano a giocare una partita molto più grande di loro, partendo da primarie autoreferenziali e odorose di inutile e stantio. Ma non può essere nemmeno, il nome giusto per Roma, un nome di comodo del centrodestra che serva a non far vincere e a non far perdere nella contesa interna nessuno dei tre partiti alleati e rivali, degradando la Capitale a terreno per giochetti di bottega partitica e a merce di scambio sul tavolo nazionale.
La sentenza Raggi è diventata così una prova d’appello più che per i 5 stelle - spaesati e sconvolti in una città che non hanno mai saputo capire - per tutti gli altri. Che se continuano a cincischiare, lavorano per Virginia.

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