Scossa Mourinho/ La sfida di Josè: diventare Cesare

Mercoledì 5 Maggio 2021 di Piero Mei

La stagione più strampalata della Roma, quella dai troppi gol presi e pochi fatti, stava sgocciolando nel grigiore he ha reso tutto un’immagine sfocata: alzi la mano il tifoso che non ha pensato, fin qui, che quel che resta del giorno, il Manchester e il derby, altro non sembravano che un incubo, un altro supplizio da subire con questa Roma scombiccherata che non aveva neppure, della Rometta d’un tempo, l’anima “stradarola” e lo spirito “testaccino” che ne avevano costituito l’antico tessuto d’una volta. 

Il sentimento era la rassegnazione, senza pianti, che «la Roma non ha mai pianto e mai piangerà» per ricordare ai nativi digitali quel che diceva Dino Viola, il presidente dello scudetto dell’83, che prese Liedholm, il Barone vincente.

Il presidente dello scudetto del 2001, Franco Sensi, non fu da meno: s’affidò a un altro di quella categoria, Fabio Capello. Questa Roma dei campioni sperduti (ce ne sono, non buttare i bimbi anche cresciuti e l’acqua sporca) sembrava dover accompagnare lo scampolo dell’Europa e del campionato che resta. C’era un’aria da “addà passà ‘a nuttata”. Ma poi, improvvisamente…

«Dimmi cos’è», cantava Antonello Venditti quella volta, e l’Olimpico, quando ha (e lo riavrà) il suo coro, l’ha cantato sempre. Ora «Dimmi Josè». Perché ecco quel che ci voleva e che nessuno, se i Friedkin o chi per loro, nel silenzio più assoluto in una città che parla e sparla quant’altre mai, e chisseneimporta se tra una foto e l’altra da far ricchi i gossipari, baci da like e cuoricini, nessuno aveva previsto: l’ingaggio triennale, in questi tempi in cui si va alla spasmodica ricerca di uno di loro, la Roma americana e forse all’americana, di un “influencer”. 

Ma, attenzione: Josè Mourinho da Setubal, non è di quelli che “rappano” in rima, piuttosto in rima vincono. L’ha fatto a Oporto e Milano, Madrid e Londra. Mourinho è un “superInfluencer”: è bastata, dopo l’annuncio ufficiale che ha fatto impennare i cuori romanisti e i titoli in Borsa, la sua frase conclusiva di un post: «Daje, Roma». A Milano si era presto esibito con un meneghino «Non sono un pirla». Sa, dunque, come trattare i suoi giocatori, parcheggiando, se serve, il pullman davanti alla porta, o facendo di Eto’o il terzino del giorno (sappiamo: Eto’o non era Bruno Peres, con tutta la simpatia del caso). I giocatori l’hanno seguito, e, quando non l’hanno fatto, hanno seguito la loro strada, fossero chi fossero.

Sa, Mourinho, come trattare un popolo: quello giallorosso è un popolo unico, che ha bisogno, anche dalla tribuna, di un tribuno. L’uomo è Cesare o nessuno. Fu lui a definirsi “Special One”. Fu anche lui a tirare quel gancio dello “zero tituli”. Ora il popolo della Roma, che s’è desto d’improvviso nel pomeriggio di ieri, sa che se c’è una possibilità di sbianchettare in qualche modo quello zero in questo triennio che verrà da contratto, questa possibilità ha un suono: «Dimmi Josè».

È la scossa che serviva alla Roma e ai romanisti, sia quel che sia, ma non solo: è il punto di partenza di quel “recovery plan” che è indispensabile al calcio italiano maltrattato per gli stadi d’Europa senza scampo e rovinosamente caduto dietro quell’idea secessionista dei nordisti della SuperLega. Perché se uno come Mourinho, che appartiene alla sparuta genia dei vincenti, decide di tornare in Italia dopo il glorioso triplete e sceglie Roma come la Roma ha scelto lui, è sicuramente un segnale. Una sveglia. 

È vero: vincere è un’altra cosa, ma anche mettersi nelle condizioni di poterlo fare lo è. È il messaggio che ha rimbalzato, topic trend, su siti e social. Un colpo di marketing, sì, ma un colpo tecnico pure. Un colpo al cuore giallorosso che stava rallentando nel nulla, e perfino il Manchester e il derby alle porte, che non entrano per niente nella nuova storia e dunque chisseneimporta, hanno un po’ meno grigio nei dintorni: sì, dimmi cos’è, dimmi Josè

© RIPRODUZIONE RISERVATA