Ripartenza Usa/ L’eredità di Trump così difficile da cancellare

Venerdì 22 Gennaio 2021 di Vittorio E. Parsi

«Ripartiamo da zero», ha detto Joe Biden durante il discorso di insediamento della sua presidenza, dopo aver giurato nelle mani del Chief Justice.

Non è lo heri dicebamus con cui Benedetto Croce cercò di inquadrare il fascismo come una parentesi all’interno della storia d’Italia. È persino di più. È un invito agli americani a ricordare quante volte gli Stati Uniti sono stati capaci di ricominciare da capo: dopo l’incendio di Washington da parte degli inglesi nel 1815, dopo la Guerra civile, dopo la grande Crisi degli anni Trenta. E dopo “Ground Zero”, l’11 settembre 2001.


Ripensando alla furia che il 6 gennaio si è scatenata contro Capitol Hill – aizzata dall’ex presidente Trump – e avendo visto le condizioni in cui si è svolta la cerimonia di insediamento, con i quasi 30 mila uomini e donne della Guardia Nazionale, del Secret Service, dell’Fbi e della polizia che superavano di gran lunga il numero degli astanti, mi pare che lo si debba constatare. Le conseguenze di 4 anni di “trumpismo” sulle istituzioni e sulla democrazia americana sono state devastanti: quasi quanto quelle prodotte da un attacco terroristico, un’invasione straniera, una guerra civile.


Non a caso i primi “ordini esecutivi” firmati da Joe Biden hanno anche una forte valenza simbolica: cancellano con un tratto di penna alcuni provvedimenti-bandiera fortemente voluti dal suo predecessore.

Provvedimenti importanti come l’uscita dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) e dagli accordi sul clima, il Muslim ban, la costruzione del Muro col Messico. Cercano cioè di “chiudere” l’era Trump, tornando alla tradizione liberale degli Stati Uniti.
Questo ovviamente non dissolve le cause che hanno portato al successo di Trump e alla deriva reazionaria più che conservatrice di tanti esponenti del Partito repubblicano – il partito che fu di Lincoln e di Eisenhower – né fa sparire la paura del ceto medio bianco impoverito. Sconfitto Trump – e con quanta fatica – i problemi restano. Due dati sono ammonitori in tal senso. Trump è il presidente che lascia con il minimo consenso di sempre (il 38% e senza avere mai superato il 50%). Allo stesso tempo, l’81% degli elettori repubblicani crede alle sue teorie sulle “elezioni truccate”. C’è l’unità di un Paese da ricostruire. Un Paese nel quale i bianchi si avviano a perdere il ruolo di maggioranza relativa della popolazione, che sarà sempre più insidiato dalla rivalità strategica ed economica con la Cina, quasi travolto dalla pandemia, che dovrà trovare il modo di declinare in maniera diversa il suo motto “E pluribus unum”.


Joe Biden ha fatto appello agli americani, a tutti gli americani. Ha chiesto il loro aiuto, senza pensare di incarnarli carismaticamente, come fece Donald Trump quando prometteva che ci avrebbe pensato lui a risolvere i loro problemi. Il 46° presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che vuole «riunire tutti gli americani», progressisti e conservatori, bianchi e non bianchi, cittadini e campagnoli, uomini e donne. E queste ultime potranno essere decisive per vincere la scommessa, come lo sono state per consentirgli di battere Trump il 3 novembre scorso. Infatti, mai così tanta attenzione è stata riservata a un (una) vicepresidente, come Kamala Harris: la prima donna ad arrivare così in alto. Ad essere stata eletta, sottolineo questo aspetto, perché conquistare il sostegno di cittadini e cittadine non era per nulla scontato.
L’eredità che Donald Trump lascia a Joe Biden è pesantissima, in termini di disoccupazione, deficit, debito, divisioni sociali e lacerazioni razziali, oltre che per il minimo storico di soft power americano nel mondo. Sono problemi che non svaniscono con Trump, come non scompaiono il disastro mediorientale, la minaccia nordcoreana, la contendibilità del Mediterraneo e – ovviamente – neppure il riscaldamento planetario o la pandemia.


Ma con Biden, guadagniamo nuovamente un poco di tempo per affrontare le sfide globali, riconquistiamo un po’ di fiducia nelle capacità delle democrazie di ripartire, riacquistiamo speranza nel multilateralismo. Persino sulla rivalità con la Cina, che rimane, Biden apre alla possibilità di fare pulizia dei “falsi positivi” – per riprendere un’espressione che il Covid-19 ha reso tristemente familiare – cioè di ridurre i campi del contendere a quelli effettivi, consentendo di concentrare energie e attenzione dove sono più necessarie. 


I trend di politica internazionale, la dinamica delle cose, non dipendono solo e primariamente da chi ricopre un incarico, neppure quello di presidente degli Stati Uniti. Nel caso del suo predecessore è invece stato così: negativamente. Biden riconduce il flusso degli eventi nel loro alveo naturale. Non è la soluzione di nulla, ma costituisce la premessa per tutto.
 

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