A Parigi scoppia l’inutile guerra del pronome “iel”

Sabato 27 Novembre 2021 di Marina Valensise
A Parigi scoppia l’inutile guerra del pronome “iel”

Allora, in Italiano i pronomi personali sono tre: maschile, egli, femminile, ella, neutro, esso.

In Francese, invece, sono due: maschile, il, femminile, elle, neutro sempre il. E che cosa si inventa il principale dizionario francese Le Robert facendo scoppiare una guerra persino tra la compagine governativa? Un terzo pronome personale, iel, contrazione tra il maschile e il femminile,  che serve a definire quel tertium non datur il quale, invece, preme oggi per essere riconosciuto in nome del gender-fluid delle persone che non si sentono né maschi, né femmine, ma a volte maschi, a volte femmine, oppure un po’ tutte e due le cose. 

Così nella lingua francese, custodita da secoli come un tesoro prezioso dall’Académie française, s’insinua un nuovo pronome personale con tutte le ridicole conseguenze che ciò comporta. Eh sì, perché se il Francese ha soltanto due generi, maschile e femminile, è anche vero che la grammatica francese impone per convenzione l’accordo del participio passato, il quale accordo si declina esclusivamente solo secondo due generi, maschile e femminile, ma non prevede fino a prova contraria la fluidità di genere. Per esempio in francese si dice e si scrive “l’homme que j’ai invité”, per riferirsi all’uomo che ho invitato, ma “la femme que j’ai invitée” se l’invitato è una donna. “Invité”, nella fattispecie, participio passato del verbo “inviter”, prende una “e” in più per accordarsi al sesso femminile. Se le cose stanno così, e la regola della grammatica è vincolante, che cosa succederà, si chiedono in molti, quando si tratterà dell’accordo del participio passato col nuovo pronome gender fluid “iel”?

I più spiritosi rispondono con una risata, lanciare folli ipotesi assurde dove non sarebbe la desinenza, ma addirittura la stessa radice del verbo a mutare, con esiti esilaranti come, tipo “le gay que j’ai invité”… Cosa non si deve fare per imitare la neutralità anglosassone del “they”, che invece assimila senza distinzione maschi e femmine, sospirano i più seri.

Per fortuna noi italiani abbiamo il genere neutro, e non siamo tenuti all’accordo del participio passato, che complica tutto. Ma in Francia è anche vero che la novità lemmografica del Robert, lungi dal suscitare unanime consenso, in nome dell’inclusività e della tutela di gay, lesbiche, transgender e compagnia bella, ha suscitato un vespaio di reazioni. Critiche esacerbate, accese polemiche in seno allo stesso governo, diviso tra ministri favorevoli a un’innovazione al passo col tempo, e contrari all’inutile abuso. Col risultato che persino il direttore del dizionario Le Robert ha dovuto mettere le mani avanti, e forse fare pure macchina indietro, e comunque sempre cospargendosi il capo di cenere. 

Morale della favola: se non fosse la spia del rivendicazionismo americano che sta prendendo piede anche in Francia col dilagare della “cancel culture”, che vorrebbe abolire il passato colpevole di non corrisponde ai valori di oggi, e che denuncia a ogni piè sospinto le discriminazione di razza, genere, sesso annidate negli usi quotidiani, dal costume verbale alle rappresentazioni simboliche, questo benedetto “iel”, sarebbe solo un diversivo, prodotto dalla volontà di mettersi al passo coi tempi da parte dei redattori di un dizionario diffusissimo. 

Invece a ben guardare il caso rivela una profonda faglia nel fronte del progressismo e dei custodi della lingua francese.

La prima a dirsi favorevole è stata la Ministra delle pari opportunità, Elisabeth Moreno, che ha definito la mossa del Petit Robert «un progresso per le persone che vogliono riconoscersi in questo pronome», e ha aggiunto: «Non capisco cosa possa togliere a coloro che non lo utilizzano», dimostrando perfetta indifferenza per le conseguenze che il nuovo pronome comporterebbe su regole grammaticali vincolanti, come il suddetto accordo col participio.

Simmetrica e opposta, la reazione del ministro dell’Educazione, Jean-Michel Blanquer, severa vestale dell’ordine mentale degli studenti transalpini: «Il femminismo è una grande causa», ha detto, «ma non dobbiamo triturare la lingua francese, che è già abbastanza complessa di suo, e non ha bisogno di aggiunte». 
Ma l’intervento decisivo è stato quello della moglie del presidente della Repubblica, Brigitte Macron, che fino all’elezione del marito, ha insegnato per anni in vari licei. «Ci sono due pronomi, il e elle. La lingua è così bella. E due pronomi bastano», ha detto la Première Dame nel corso della visita a una scuola media parigina col ministro Blanquer, dandogli manforte.

E’ così che Charles Bimbenet, il direttore generale del Robert, si è dovuto giustificare, spiegando che l’aggiunta del nuovo pronome non è un’azione di militanza in difesa della moda e dell’ideologia contemporanea del gender fluid, ma il risultato di un’ accurata analisi dell’uso corrente nella comunicazione inclusiva. «L’uso è ancora relativamente debole, ma da alcuni mesi i nostri servizi lessicografici hanno constatato che è sempre più utilizzato» ha detto Bimbenet. «Del resto», ha specificato, «il senso del termine “iel” non si capisce alla sola lettura, e per questo ci è parso utile precisarlo per coloro che ci si imbattono, sia che intendano utilizzarlo sia che intendano respingerlo».

«E’ un’offesa bella e buona alla lingua francese», gli ha fatto eco il presidente della regione Ile de France Valérie Pecresse, ex ministro del gollista Jacques Chirac, ora in predicato come candidata alle presidenziali di aprile. «Io la scrittura inclusiva nella mia regione l’ho fatta vietare. Il problema vero di questa scrittura pseudo inclusiva è che esclude, perché non la parla nessuno».
Basterà una nuova voce del dizionario a diffonderne l’uso e legittimarlo? Improbabile.

Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 01:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA