Fine delle mascherine obbligatorie? Pare di no.
Quando si riscriverà l'intera storia della pandemia da Covid le mascherine avranno diritto a un capitolo importante e forse anche a più di uno. Ci abbiamo messo un po' all'inizio per capire quali e come usarle. Non ne avevamo e non sapevano fabbricarle avendole considerate inutili da tempo. Ci hanno soccorso i cinesi e subito qualcuno ha creduto di trasformare quei pezzetti di carta in un affarone multimilionario, magari con l'appoggio delle autorità plenipotenziarie, incaricate di farne incetta per rispondere all'espandersi incontrollato del temibile e sconosciuto virus. E' stato tutto un fiorire di iniziative, quasi tutte interessate al guadagno cash piuttosto che a fronteggiare i pericoli dilaganti. Di fronte a una imponente domanda, sostenuta da folate di messaggi catastrofici, anche la filiera di certi distributori ha annusato e percorso le strade della speculazione.
Si è creata una specie di montagna russa dei prezzi e si è al tempo stesso aperta a ventaglio la polemica degli esperti, cattedratici e non. Chi per la mascherina anche durante il riposo, chi quasi mai purché a distanza di sicurezza. Di quest'ultima soluzione s'era fatto interprete il capo della protezione civile dell'epoca. «Scusi, dottor Angelo Borrelli, ma perché lei non porta mai la mascherina che poi raccomanda a tutti?», gli fu chiesto durante una delle stentate e sofferte conferenze stampa. «Io sto a distanza di sicurezza e mi lavo le mani», rispose impavido il capo supremo del Dipartimento e con ciò, in punta di piedi, si guadagnò la via d'uscita in un sol colpo. Fabrizio Curcio ne ha preso il posto con eleganza e competenza. Resiste al suo posto da allora, quasi un record. Ma le rappresentazioni più clamorose sono venute dal mondo della scienza. E, incredibilmente, si ripropongono anche in questi giorni: il frontale tra chi dice di farne a meno e chi continua a raccomandarle resiste oltre ogni utilità. Quel ramo del sapere che s'interroga e risponde all'evidenza dei fatti sui vaccini e sulle mascherine e i suoi illustri rappresentanti hanno saputo dare il meglio di sé; accanto alla divulgazione ragionata e nutriente ecco prendere corpo, specie nei talk show, una litigiosità infinita, costante, perfino rabbiosa.
Si sono sfiorate le denunce per diffamazione, querele tra colleghi offuscati dall'esposizione televisiva e compulsiva che ne ha fatto, alla fine, più che degli autorevoli consiglieri nazionali sulla pandemia, degli arruffapopolo, pronti a scagliarsi con rabbia contro avversari e poi anche nemici delle proprie opinioni. Mascherina sempre e comunque, macché mascherina, serve a poco o a niente. Galli, Burioni, Bassetti, Viola, Pregliasco, Remuzzi, Garattini, Gismondo, Richeldi, Mantovani, Zangrillo, e parecchi altri sempre in servizio da telecamera accesa: tutti, con diversi approcci e credibilità, alcuni con notevole e riconosciuta autorevolezza anche internazionale, hanno tenuto acceso un dibattito che a tratti si è rivelato surreale e perfino asfissiante, trattandosi di polmoni a rischio. Tante parole e non tutte propriamente edificanti: nell'insieme hanno prodotto confusione e un'immagine della scienza e del dibattito che la nutre a tratti davvero imbarazzante.
Si dovrà trovare il tempo e il modo per rivedere e rileggere l'immensa mole di parole spese sulla pandemia dalle autorità preposte e autorizzate a fornirne alla pubblica opinione. Perché anche gli scienziati dovranno scoprire che la comunicazione, quella politica e quella scientifica in particolare sono fatte di una materia delicatissima, che va maneggiata con estrema cura perché può azzerare i suoi vantaggi e al contrario produrre gravi danni. Ci vorrà modestia e umiltà accanto all'indubbia competenza per compiere un'operazione di revisione completa della grammatica del comunicare in questi frangenti. Lo stesso schema riguarda l'operato del governo e delle autorità che ha messo alla guida delle diverse operazioni per uscire dalla pandemia. Anche qui tra conferenze stampa aperte alle dieci di sera o assenza totale di messaggi nel momento in cui appariva indispensabile fornirli ci si è barcamenati tra improvvisazioni inutili e assenze ingiustificate. Insomma, la materia va studiata e applicata senza recite a soggetto.
Ma noi siamo fatti così, c'è poco da sperare in meglio. Il protagonismo e l'ipertrofia dell'Io sono un virus a volte più invasivo e pericoloso dello stesso Covid. Adesso che siamo entrati nel periodo del giù la maschera, anzi la mascherina, non ci si azzuffi con la scoperta di quanto è bella, fresca e profumata l'aria di primavera.