Sudamerica, il virus avanza veloce dove regna l’autarchia

Sabato 9 Maggio 2020 di Loris Zanatta
Sbarcato in America Latina, il coronavirus avanza implacabile. Chissà dove arriverà, quanto si spargerà, cosa ne sapremo. Già, perché dei numeri c’è poco da fidarsi. O meglio: sono credibili laddove la società controlla lo Stato, fanno ridere dove lo Stato s’è mangiato la società. Per dire: si può credere che il Perù abbia 51.000 contagi e 1.400 morti, il Cile 22.000 malati e appena 275 vittime. 

[Perfino che il Brasile ne conti 116.000 e 8.000, l’Argentina soltanto 5.000 e 264. Ma che in Venezuela vi siano 367 infettati e 10 morti quando oltreconfine, in Colombia, sono 8.600 e 378! Che in Nicaragua si siano ammalati in 16 per decedere in 5, quando nei paesi vicini i contagi ballano tra 600 e 1.200! In Venezuela si crepa di fame ma non di coronavirus? Il Nicaragua è davvero protetto dalla Provvidenza, come assicurano i capi sandinisti? Dittatura o democrazia, fa ancora la sua differenza. 

Almeno i latinoamericani l’hanno visto arrivare, fare sfracelli in Italia, piombare sulla Spagna: gli avranno preso le misure, avranno alzato ripari. Sì e no: a seconda dei governi, dei leader, delle convenienze. I più intrepidi sono stati i millenaristi, tipo Bolsonaro in Brasile e López Obrador in Messico, così diversi, così simili. Inebriati dal loro destino manifesto, hanno fatto spallucce: non sarà un virus a fermare la nostra missione. Così sono gli spiriti messianici: non importa la storia com’è, ma la storia come vorrebbero che fosse. Ecco così il primo chiamare i brasiliani in strada, il secondo additare ai messicani gli amuleti destinati a proteggerli. Risultato? Quarantene tardive e virus in fase di decollo. A Bolsonaro l’hanno imposta i governi locali e la magistratura, segno di un sistema istituzionale ricco di anticorpi; a López Obrador i fatti: di anticorpi, in Messico, ce ne sono meno, la storia parla chiaro. 

Poi ci sono gli apocalittici: il virus non è un accidente della storia ma una punizione di Dio. Siamo stati egoisti e individualisti, il denaro ha inaridito le nostre anime, il “neoliberalismo” infettato i nostri cuori: è tempo di mondare le nostre colpe. Dal piccolo Salvador alla grande Argentina è scattata la quarantena, rigida e ruvida, totale ed espiatoria. Risultati? Ottimi, a prima vista: contagio limitato e beatificazione del leader. Da ciò a innamorarsene, a profittarne per sospendere il parlamento e mandare in ferie la Corte Suprema basta un passo: Alberto Fernández l’ha fatto. Se il virus è l’apocalisse e il peronismo l’arma della redenzione, si spiega: espiata la colpa, sorgerà l’uomo nuovo, la società solidale. Il paese è sull’orlo del settimo default in trent’anni, la miseria dilaga e le imprese chiudono, ma è nel popolo che giace la virtù, nei poveri la santità: su di essi veglierà lo Stato. 

Infine ci sono i “responsabili”, paesi che hanno affrontato la crisi per quella che è: un’immane sfida cui per fortuna l’umanità non era più abituata e contro cui mobilitare scienza, politica e buon senso. Non è che i governi di Cile, Perù o Colombia abbiano in tal modo fermato il virus, né si sono guadagnati le chiavi del paradiso. Non è nemmeno questione di ideologia: probabile che altri governi d’altro colore avrebbero al loro posto fatto cose simili. E’ che seppur coi loro limiti sono paesi democratici che in emergenza attivano l’intelligenza collettiva, non furie millenariste né utopie redentive. Eccoli così reagire veloci e imparare in fretta, chi dalla Corea del Sud chi dalla Germania; eccoli fare dieci volte più tamponi dei loro grandi vicini, riducendo così gli inevitabili rischi della ripresa produttiva; ed eccoli, forti delle loro finanze ordinate e della fiducia conquistata sui mercati, attivare piani di assistenza sociale e crediti alle imprese più potenti ed efficaci di quelli di paesi più grandi e potenti ma dalle finanze disastrate e dall’economia stagnante.

Il coronavirus non conosce frontiere né rilascia pagelle. E i conti su come l’hanno affrontato i vari paesi si faranno alla fine, al netto delle macerie sociali e dei traumi politici che lascerà in dote. Ma è fin d’ora un termometro che misura chi, nella storia recente, ha alzato case di mattoni e chi case di paglia. Tutti invocano oggi il “ritorno dello Stato”, pochi si chiedono “che Stato?” Ebbene, i tanto vituperati Stati dei paesi “neoliberali” si stanno rivelando più organizzati ed efficienti dei pachidermici Stati di paesi abituati a volare da un populismo all’altro; la loro economia aperta più resiliente di quella autarchica. Curioso. O forse no. 
Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA