La clausola di supremazia spetta allo Stato

Martedì 12 Maggio 2020 di Cesare Mirabelli
Gli scontri che negli ultimi mesi si sono manifestati tra Governo e Regioni su provvedimenti adottati o da adottare per contenere la diffusione della epidemia sono passati dal piano politico, degli annunci e delle dichiarazioni polemiche, alle aule di giustizia.
Il presidente del Consiglio dei ministri per la prima volta è ricorso al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento di una ordinanza regionale in contrasto con quanto stabilito con un suo decreto (Dpcm), che attua misure straordinarie previste con decreto legge per contrastare l’emergenza epidemiologica, preferendo in tal modo la via giudiziaria a un provvedimento governativo di annullamento.

L’ordinanza della presidente della Regione Calabria, che aveva disposto la riapertura di bar e ristoranti con somministrazione esclusiva all’aperto, è stata annullata dal Tribunale amministrativo regionale, ma contro questa decisione già si annuncia il ricorso al Consiglio di Stato. 
La Provincia autonoma di Bolzano ha anticipato, rispetto a quanto stabilito dal Governo nazionale, l’apertura delle attività economiche, commerciali, dei servizi alla persona, stabilendo un proprio calendario e la regolamentazione delle misure di protezione da adottare. Da parte sua il Governo ha annunciato un ricorso alla Corte costituzionale per denunciare la illegittimità di questa legge regionale.

Di fronte a una situazione di così grave emergenza ci si sarebbe attesi una maggiore coesione tra le istituzioni e unità di indirizzo, da ottenere esercitando con impegno quella leale cooperazione che la Costituzione pone come principio essenziale nei rapporti tra i diversi livelli di rappresentanza politica e di governo, tra Stato e autonomie territoriali. Lo strappo ripetuto da parte di alcuni governatori ha acuito il fenomeno. I contrasti che si manifestano aprono due ordini di problemi in qualche modo collegati. Il primo riguarda l’assetto istituzionale, l’altro le questioni che la Corte costituzionale sarà prevedibilmente chiamata a risolvere.

Sotto il primo aspetto riaffiora come non risolto con chiarezza né definitivamente l’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni, con una deriva anarcoide da parte di queste ultime. Sono trascorsi settanta anni dal completamento della attuazione della costituzione, con la istituzione delle Regioni a statuto ordinario, e lo sviluppo del principio autonomistico ha avuto varietà di espressioni, dalle “briglie corte” lasciate inizialmente alle Regioni, al trasferimento e alla delega di più ampie funzioni nel 1977, fino alla riforma costituzionale del 2001, con la costante difficoltà di determinare i confini delle rispettive competenze in materie spesso sovrapposte o contigue.

D’altra parte lo stesso principio di sussidiarietà, che caratterizza ogni sistema organizzato su diversi livelli legislativi, di governo e amministrazione, richiede una mobilità delle competenze, o del loro esercizio, rapportata alla dimensione dei problemi e dell’impatto della attività da disciplinare o svolgere. È difficile che possa essere gestita con regole dettate a livello locale una epidemia planetaria, che non conosce confini nazionali o regionali nella possibile diffusione dei contagi. Per non parlare della sacrosanta necessità di attribuire allo Stato l’ultima parola in materia di un diritto costituzionale come la salute, competenza oggi troppo genericamente affidata alla competenza concorrente delle Regioni. Ne abbiamo visto qualche nefasto esempio nel naufragio della gestione sanitaria dell’emergenza in alcune regioni del Nord come la Lombardia. 

I principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e sanitarie ne costituiscono la cornice. Il potere del Governo di sostituirsi agli organi delle Regioni, che pure la costituzione prevede quando vi è un grave pericolo per la sicurezza pubblica, offrono un altro strumento di intervento statale. Sarebbe tuttavia opportuna la chiara introduzione nella Costituzione di una clausola di supremazia dello Stato, determinando le situazioni nelle quali può intervenire al di là del riparto delle competenze. 

L’altra questione che è possibile segnalare, senza tuttavia prefigurarne l’esito, riguarda se e come potrà essere investita la Corte costituzionale. Non è difficile immaginare che, come si annuncia, nel corso del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato vengano proposte dalla Regione Calabria eccezioni di legittimità costituzionali, che possono riguardare sia il percorso scelto dal Governo per contestare l’ordinanza regionale, con il ricorso al giudice amministrativo anziché alla Corte costituzionale per la lesione di attribuzioni statali, sia la legittimità costituzionale del decreto legge che offre la base legislativa al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. 

L’altra porta di ingresso alla Corte si annuncia sarà seguita dal Governo, per contestare la legge della Provincia autonoma di Bolzano. In questo caso l’oggetto del giudizio investirebbe i reciproci confini delle materie di competenza statale e provinciale. Offrirebbe alla Corte la occasione, o meglio le imporrebbe, di interpretare e ricondurre a sistema le diverse disposizioni costituzionali, rendendo possibilmente chiaro quello che può apparire oscuro. Uno dei punti ai quali si può fare riferimento è il contesto nel quale la costituzione, tra i suoi principi fondamentali, riconosce le autonomie territoriali, riaffermando ad un tempo la unità e indivisibilità della Repubblica.

Due poli che richiedono equilibrio e armonizzazione, giacché la espressione una e indivisibile non vale soltanto ad escludere ogni ipotesi di secessione, ma comprende anche l’unità della comunità nazionale nel fronteggiare problemi che ricadono in una dimensione che la investe nel suo insieme. Trarne le conseguenze, con i criteri di bilanciamento che sono propri della Corte costituzionale, potrebbe ricondurre a coerenza costituzionale l’azione del Governo e delle Regioni. Ne potrebbe risultare un corretto sviluppo di principi costituzionali, che potrebbero orientare anche il Parlamento - oggi inerte su questo fronte - sia come legislatore ordinario sia per una revisione della costituzione. L’occasione è matura ormai da troppo tempo per mettere ordine ad una gerarchia istituzionale che farebbe solo bene ai cittadini.
Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA