Dolore e rinascita/ C’è una prova di forza da superare questo Natale

Mercoledì 23 Dicembre 2020 di Mario Ajello

Nel Natale della nostra incertezza pensiamo di essere più soli delle altre volte, perché non c’è la bolgia del cenone, ma così non è.

Ognuno nella propria clausura laica si sente partecipe di un destino comune che mai come questa volta interpella il senso di responsabilità e l’amor di patria. Oltre che la salvaguardia personale e familiare della salute.

E allora, sarà un Natale particolarissimo quello di queste ore che ognuno vivrà a modo suo tra i propri intimi e “affetti stabili” - chi lamentandosi a torto delle regole restrittive, chi lodandole e magari pensando che sarebbero dovute essere più rigorose, limpide e tempestive - ma un’unione di destino, nella separatezza resasi necessaria, è quella che non potrà che risaltare. Perché le guerre non si vincono da soli e tantomeno si costruiscono i dopoguerra, come sarà quello successivo alla sconfitta del Covid, se viene a mancare il cemento dell’idea di nazione e se le classi dirigenti, che sul superamento pratico e progettuale della tragedia verranno giudicate, non si mostrano all’altezza della sfida in corso e del bisogno corale degli italiani di avere le risposte che meritano. Sulla base dei grandi sacrifici che stanno facendo, più o meno tutti e più o meno bene. 

Quel che serve, in questo Natale, è che nelle cene e nei ritrovi tra pochi si evitino per pudore e per rispetto ai morti e ai malati i lamenti per la festa mancata.

Per il calore che non potrà essere quello solito; per il distanziamento sociale e per il contingentamento imposto dai decreti; per il normale svolgimento del rito che è sempre stato. Vagheggiare il mondo di prima, mentre il mondo non è più quello di prima, significa non aver capito lo spirito di questo Natale. Che non dovrà essere il Natale del nostro scontento, ma una festa sobria e raziocinante, verrebbe da dire illuministica perché i Lumi più delle lucette rischiarano le menti, e una prova di forza e di lungimiranza. 

La sofferenza in corso e i lutti patiti non possono far dimenticare una costante storica su cui poggiare la nostra fiducia. Il post-tragedie ha spesso creato un mondo nuovo. Il Rinascimento arrivò dopo la peste nera del 1348. L’Illuminismo si affermò dopo la distruzione di Lisbona nel 1755, a causa del famoso terremoto di cui scrisse Voltaire e che impegnò le migliori intelligenze di quell’epoca e dei tempi successivi. Se di fronte a tutti i grandi traumi che ci sono stati nella storia - pesti, guerre, distruzioni, carestie, sismi e spopolamenti - siamo ancora qui, vuol dire che l’umanità riesce non solo a riconoscere le sconfitte ma apprende da esse e si riorganizza a livelli superiori. 

Ecco, questo Natale vale come balsamo per i dolori ma non potrà che fungere anche come ricostituente e come doping. Se non fosse così, sarebbe un Natale senza uno sguardo diverso e in fondo un Natale inconsapevole e sprecato. E invece, in questo Natale ci sarà di tutto all’interno delle nostre case ma più di ogni altra cosa - ed è naturale che sia così - ci sarà il discorso, il dibattito, il confronto su ciò che è accaduto a noi tutti nella pandemia e su ciò che dobbiamo aspettarci per il dopo. 

Ci saranno quelli dispiaciuti perché mancano i nonni intorno alla tavola, e alcuni di loro sono mancati alla vita in questo annus horribilis. Quelli che minimizzano sciaguratamente l’emergenza (ma suvvia, non esageriamo!) e quelli che si pentono di averla sottovalutata prima che la realtà si impadronisse di loro, facendoli ammalare o circondandoli di ammalati. Quelli in preda alla tristezza perché la figlia ha il Covid, i genitori sono separati e la piccola sta con me o sta con te? Quelli che sacramentano contro Conte e quelli che non lo crocifiggono e dicono: «Altri non avrebbero fatto meglio». 

E ancora. Quelli che si sono assembrati negli acquisti pre-natalizi anche spinti dal cashback ma ora fanno revisionismo: «Che stupido sono stato, corro a fare un tampone» (variante della famosa battuta geniale di Altan: «Mi chiedo chi sia il mandante di tutte le cavolate che faccio»). Quelli che il tampone lo hanno fatto ma aspettano il responso che gli fa passare la fame e il sonno e dicono: «Incrociamo le dita». Quelli che non sono potuti andare al Sud, a raggiungere i propri genitori, per paura di infettarli. Quelli che continuano, anche davanti all’Albero sguarnito di presenti, a ironizzare sulle paure degli altri. Quelli che chiedetemi tutto ma non fatemi rinunciare alla mia gita in bici con gli altri ottantenni mascherati ridicolmente da campioni di ciclismo e poi si brinda tutti insieme assurdamente. E questa lista di «Quelli che...» potrebbe somigliare alla canzone di Enzo Jannacci, ma in questo caso c’è poco da fare satira. Il momento è quello che è. 

E va bene tutto, nei discorsi in famiglia (ristretta), tranne distrarsi rispetto a ciò che ci aspetta e che noi dobbiamo contribuire a far accadere. Ovvero l’uso del dolore come occasione di crescita. Del resto la storia dell’umanità è sempre stata spezzata, è andata avanti tra traumi e riprese e questa volta non sarà diverso. Basta saperlo e volerlo.

Fuori dalle finestre delle case illuminate, Roma così come le altre città sarà trasfigurata e punteggiata nella notte - ma chi lo avrebbe mai detto - non solo di lucine ma anche di autocertificazioni. E molti di noi, chiederemo a noi stessi: «Che cosa diremo in futuro, guardandoci indietro?». Che è stato tutto un incubo, ma Babbo Natale come dono ha portato il vaccino. Non lo ha preso in Lapponia ma è frutto di una collaborazione internazionale, virtuosa e modernissima, tra medici, scienziati, ricercatori, industria e politica (e guai a chi parla più di Europa Matrigna). E tra tante discussioni intorno all’Albero, quella più utile per noi stessi e per l’Italia non potrà che essere questa: «Non vedo l’ora di vaccinarmi». «No, lo voglio fare prima io di te». «Macché, prima tocca al nonno e poi a noi altri». Il vaccino, sì. Ed è importantissimo, già a Natale e nei mesi a venire, concentrarsi ogni giorno e per tutto il 2021 sul funzionamento di quest’arma anti-Covid e su come usarla bene. Tutto il resto, a parte il Recovery Fund, è retorica.

Ultimo aggiornamento: 23:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA