L'analisi/ Capitol Hill e Brasilia lontane dal “sovranismo” europeo

Giovedì 12 Gennaio 2023 di Ferdinando Adornato

Non c’è chi in questi giorni non abbia sottolineato il pericoloso filo rosso che lega l’assalto di Capitol Hill di due anni fa a quello della piazza dei “tre poteri” di Brasilia.

E di conseguenza Trump a Bolsonaro. Ma va sgombrato il campo da un equivoco nel quale più di un commento è caduto: tale fenomeni non hanno niente a che vedere con il “sovranismo”, almeno così come lo intendiamo noi in Europa. Quest’ultimo consiste nella veemente rivendicazione dell’autonomia di un Paese rispetto a qualsivoglia potere sovranazionale. E non è questo, come è palese, la questione venuta alla luce prima negli Stati Uniti e poi in Brasile. Non sembra perciò ragionevole temere che le democrazie d’Europa possano, allo stato dei fatti, correre rischi simili. Chi agita tale spauracchio lo fa solo a fini di propaganda interna, per delegittimare la destra, cosa che però in nulla avvicina alla comprensione dei clamorosi fatti cui siamo di fronte. Di che si tratta dunque? Per capirlo, occorre una premessa. L’aggressione russa all’Ucraina ci ha fatto capire, ancora più chiaramente, come le nostre illusioni sugli effetti benefici, e “pacifici”, della globalizzazione commerciale fossero assai volatili e come, viceversa, nel mondo lo scontro tra autocrazie e democrazie entrava in una fase ancora più impegnativa. Ebbene, negli ultimi decenni, come risposta alla “confrontation” con le dittature, in primis Russia e Cina, sono andati crescendo, anche nelle democrazie, forti pulsioni autocratiche. Animate da leader carismatici che sognavano di raggiungere anch’essi un potere illimitato: epperò in sistemi politici nati, al contrario, per “controllare” e “contenere” ogni potere. Il massimo esponente di questo sogno, Donald Trump, per riuscirci, ha creato un movimento e un modello politico che si potrebbe definire “social-populismo”(sottolineo social) ed è poi stato imitato da Bolsonaro.

Quali sono gli ingredienti base di questo movimento?Principalmente tre. Il primo è ciò che noi siamo abituati a chiamare populismo. Una leadership politica che si afferma proclamando lo scontro tra élites e popolo nel quale, ovviamente, il promoter rappresenta, ineluttabilmente, il popolo. Questo ingrediente è certamente assai diffuso anche in Europa. Paradigmatico, da questo punto di vista, è stato l’uso e l’abuso in Italia della parola casta: un mandarinato autosufficiente e insensibile ai bisogni della gente. Espressioni tipiche del populismo sono anche il catastrofismo, la demonizzazione dei rivali, la contestazione radicale delle competenze. Il tutto all’interno di una fraseologia che punta a sfruttare l’incertezza economico-sociale del ceto medio e la paura suscitata dalla globalizzazione. Utilizzando, con grande abilità, il nuovo potere dei social media. Il secondo ingrediente del social-populismo è l’”effetto crociata”. E cioè la sistematica organizzazione del confronto in polarità radicalmente contrapposte, come una querelle, da stadio, tra tifoserie antagoniste.

Di qui la ripetitiva messa in scena di un conflitto identitario che, per diventare ancora più emotivo e coinvolgente, ha bisogno di far ricorso anche a motivazioni di stampo religioso. Così la propria campagna, dove componente essenziale è l’odio per i “nemici”, diventa sempre più simile, appunto, a una crociata. Non è un mistero, del resto, che sia Trump che Bolsonaro abbiano contato, e contino, sul sostegno di agguerriti gruppi “evangelici”. Il terzo ingrediente, ricorrendo a una formula del politologo Moisés Naím, lo si può chiamare “post-verità”. Non si tratta, semplicemente, dell’uso della bugia come strumento di potere, tecnica antica quanto il mondo. No, qui si tende piuttosto a sfruttare l’avvento dei social per organizzare una comunicazione che impedisca di cogliere la differenza tra il vero e il falso. La “confusione” dunque: non tanto e non solo la bugia diventa il vero fine della propaganda. I seguaci di Trump e Bolsonaro non crederanno mai che Biden e Lula abbiano davvero vinto le elezioni. Al contrario, resteranno per sempre convinti di essere stati vittime di brogli, di un furto elettorale che rasenta il golpe. Perciò, per rispondere a un falso colpo di Stato, ne tentano uno vero! Eppure, nonostante l’evidenza di tale “confusione”, in nome di quella che è stata chiamata The Big Lie, la Grande Bugia, Trump continua ancora ad esercitare un’enorme influenza e spera di tornare alla Casa Bianca.
Gli autocrati del XX secolo non sentivano alcun bisogno di nascondere o camuffare il proprio potere arbitrario. Anzi, traevano vanto dall’esibirlo. Ma se oggi questi “nuovi leader” propugnassero apertamente modelli di sospensione della democrazia non avrebbero la benché minima chance di successo. Perciò è necessario inaugurare l’epoca della “finzione democratica”, del doppio gioco, nel tentativo di “divorare” la democrazia dall’interno, dissacrando le corrette procedure istituzionali. Giocare con le fake news per imporre una fake democracy. E’ questo l’obiettivo del social-populismo.

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