Non c’è chi in questi giorni non abbia sottolineato il pericoloso filo rosso che lega l’assalto di Capitol Hill di due anni fa a quello della piazza dei “tre poteri” di Brasilia.
Quali sono gli ingredienti base di questo movimento?Principalmente tre. Il primo è ciò che noi siamo abituati a chiamare populismo. Una leadership politica che si afferma proclamando lo scontro tra élites e popolo nel quale, ovviamente, il promoter rappresenta, ineluttabilmente, il popolo. Questo ingrediente è certamente assai diffuso anche in Europa. Paradigmatico, da questo punto di vista, è stato l’uso e l’abuso in Italia della parola casta: un mandarinato autosufficiente e insensibile ai bisogni della gente. Espressioni tipiche del populismo sono anche il catastrofismo, la demonizzazione dei rivali, la contestazione radicale delle competenze. Il tutto all’interno di una fraseologia che punta a sfruttare l’incertezza economico-sociale del ceto medio e la paura suscitata dalla globalizzazione. Utilizzando, con grande abilità, il nuovo potere dei social media. Il secondo ingrediente del social-populismo è l’”effetto crociata”. E cioè la sistematica organizzazione del confronto in polarità radicalmente contrapposte, come una querelle, da stadio, tra tifoserie antagoniste.
Di qui la ripetitiva messa in scena di un conflitto identitario che, per diventare ancora più emotivo e coinvolgente, ha bisogno di far ricorso anche a motivazioni di stampo religioso. Così la propria campagna, dove componente essenziale è l’odio per i “nemici”, diventa sempre più simile, appunto, a una crociata. Non è un mistero, del resto, che sia Trump che Bolsonaro abbiano contato, e contino, sul sostegno di agguerriti gruppi “evangelici”. Il terzo ingrediente, ricorrendo a una formula del politologo Moisés Naím, lo si può chiamare “post-verità”. Non si tratta, semplicemente, dell’uso della bugia come strumento di potere, tecnica antica quanto il mondo. No, qui si tende piuttosto a sfruttare l’avvento dei social per organizzare una comunicazione che impedisca di cogliere la differenza tra il vero e il falso. La “confusione” dunque: non tanto e non solo la bugia diventa il vero fine della propaganda. I seguaci di Trump e Bolsonaro non crederanno mai che Biden e Lula abbiano davvero vinto le elezioni. Al contrario, resteranno per sempre convinti di essere stati vittime di brogli, di un furto elettorale che rasenta il golpe. Perciò, per rispondere a un falso colpo di Stato, ne tentano uno vero! Eppure, nonostante l’evidenza di tale “confusione”, in nome di quella che è stata chiamata The Big Lie, la Grande Bugia, Trump continua ancora ad esercitare un’enorme influenza e spera di tornare alla Casa Bianca.
Gli autocrati del XX secolo non sentivano alcun bisogno di nascondere o camuffare il proprio potere arbitrario. Anzi, traevano vanto dall’esibirlo. Ma se oggi questi “nuovi leader” propugnassero apertamente modelli di sospensione della democrazia non avrebbero la benché minima chance di successo. Perciò è necessario inaugurare l’epoca della “finzione democratica”, del doppio gioco, nel tentativo di “divorare” la democrazia dall’interno, dissacrando le corrette procedure istituzionali. Giocare con le fake news per imporre una fake democracy. E’ questo l’obiettivo del social-populismo.