Il ruolo che manca/ Cosa può fare l’Onu per il dramma dei migranti

Giovedì 30 Luglio 2020 di ​Alessandro Orsini
Il barboncino sbarcato con i tunisini a Lampedusa non stupisce: è noto, ormai da tempo, che molti migranti provengono dagli strati medi e alti della popolazione africana. L’Ispi, oggi presieduto da Giampiero Massolo, ha rivelato che il 60% degli africani sbarcati in Europa negli ultimi sei anni, pari a un milione e 85 mila persone, proviene da Paesi con un reddito pro capite tra i 1.000 e i 4.000 dollari l’anno, classificato come medio-basso dalla Banca Mondiale. Il 29%, invece, proviene da Paesi con un reddito pro capite tra i 4.000 e i 12.000 dollari l’anno (reddito medio-alto), e il 7% da Paesi con un reddito pro capite superiore ai 12.000 dollari (reddito alto). 
Il barboncino è utile nella misura in cui aiuta a ricordare questi dati.

Ovviamente, le ricerche quantitative devono essere integrate dalle ricerche qualitative, che si occupano di guardare i migranti negli occhi. Soltanto il contatto diretto consente di stabilire se un uomo è realmente disperato e gli occhi dicono che molti migranti non lo sono. La tunisina con gli occhiali da sole ha dichiarato di essersi imbarcata perché in Italia si sta bene e in Tunisia non c’è libertà. Per quanto l’idea di libertà sia relativa, la Tunisia è uno dei Paesi più liberi di tutta l’Africa. Nel 2015, ha addirittura ricevuto il premio Nobel per la Pace per tutto ciò che ha fatto in favore della democrazia e della libertà. 

Nello specifico, il premio è stato conferito al “quartetto del dialogo nazionale tunisino”, un gruppo formato da avvocati, lavoratori, impiegati e attivisti tunisini. Premiare un gruppo così eterogeneo significa premiare un’intera società. I premiati sono: la Confederazione dell’industria tunisina, la Lega tunisina per i diritti umani, l’Ordine degli avvocati tunisini e l’Unione generale dei lavoratori tunisini, il cui segretario è Houcine Abbassi. 

Secondo i premiatori, queste quattro organizzazioni hanno meritato il premio Nobel «per il loro contributo decisivo nella costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia in seguito alla rivoluzione tunisina del 2011». Sappiamo bene che i problemi in Tunisia sono molti. Tuttavia, proprio per amore dell’Africa, è bene riservare l’ospitalità ai migranti che ne hanno davvero bisogno. I sentimenti hanno un ruolo importantissimo in politica ed è per questo che milioni di europei accettano che le leggi dello Stato vengano talvolta “abusate” per aiutare i disperati. 
Davanti alla disperazione, l’opinione pubblica afferma che lo Stato non può essere disumano nella difesa dei confini. È un modo elegante di dire che le leggi possono essere violate, se offendono la coscienza morale degli europei, cosa che, purtroppo, è accaduta a Khums, a est di Tripoli, dove tre migranti sudanesi sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco nel tentativo di scappare dalla guardia costiera libica. L’Oim, che nel settembre 2016 è entrata nel sistema Onu, diventando agenzia collegata alle Nazioni Unite, ha condannato i fatti. Fin qui siamo d’accordo. Il problema è che l’Oim ha prontamente sollecitato l’Unione Europea a intervenire perché «la Libia non è un porto sicuro».

A parte il fatto che in Libia non esiste niente di sicuro, visto che è in corso una guerra civile, l’Oim dovrebbe riflettere su ciò che l’Onu è diventato in questi anni. Che si tratti di immani catastrofi umanitarie (Yemen e Siria), di proliferazione nucleare (Corea del Nord) o di immigrazione, l’Onu ha assunto le caratteristiche di un’autorità morale che produce per lo più studi e documenti, senza alcuna capacità di incidere sui problemi reali. A noi piacciono le autorità morali, tolte le quali, insegna Durkheim, gli uomini brancolerebbero nel buio, ma come può l’Oim chiedere all’Unione Europea di mettere ordine nei porti libici dimenticando che l’Onu, in Libia, ha prima istituito un governo a Tripoli e poi ha lasciato che venisse bombardato dal generale Haftar?

Il risultato è stupefacente: l’Oim chiede porti sicuri in un Paese i cui porti stanno per essere accerchiati dalle navi da guerra della Turchia e dell’Egitto, che intendono darsele di santa ragione per il predominio su Sirte e la base di al-Jufra. Per portare la politica con i piedi per terra, proveremo a indicare la sequenza corretta delle mosse da seguire. In primo luogo, l’Onu dovrebbe portare la pace in Libia. Soltanto dopo, l’Unione Europea potrebbe aiutare le autorità libiche a creare un sistema di controllo delle frontiere e di protezione dei migranti. Uno degli errori di molti osservatori occidentali è di non considerare che una guerra civile abbassa il livello di umanità di un Paese intero. 

Sempre parlando dell’autorità morale di una società, un omicidio nel centro di Roma o di Firenze provoca un’impressione enorme. Lo stesso omicidio, nel centro di Aleppo in Siria, di Mosul in Iraq, o di Kabul in Afghanistan, provoca un’impressione minore. Non perché romani e fiorentini siano diversi da siriani, iracheni e afgani, ma perché Roma e Firenze non sono state dilaniate da una sanguinosissima guerra civile, con bombe, stupri, omicidi e decapitazioni. 
C’è un lavoro molto grande da fare in Libia in favore della pace, a cui è legato il rispetto dei diritti umani nei porti. Il problema è che tutto il lavoro che si sta facendo in queste ore è in favore della guerra giacché l’Onu, in Libia, è una bellissima autorità morale, che ci piace tanto, ma con cui non ci facciamo niente.
orsini@mit.edu 
 
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