I frutti avvelenati/ Il ritorno degli anti-casta quando erano già al tappeto

Sabato 27 Giugno 2020 di Mario Ajello
I vitalizi per chi è in carica sono già stati aboliti nel 2012, un anno prima che i grillini entrassero in Parlamento. Ma poi è servito rilanciare, moltiplicare, sbandierare la purezza anti-casta della casta in nome di un populismo che ha voluto farsi sistema.

E che adesso però ha avuto il suo primo stop - nessuna riduzione retroattiva ai vitalizi degli ex parlamentari - con la decisione presa dal Senato. Potrebbe essere un segnale in contro-tendenza rispetto alla cultura grillina e leghista vigente finora, quella che svaluta le istituzioni in cui abita denigrandole in nome della supremazia della «gente». Ma subito è cominciata la reazione per abolire, a furor di partiti uniti tra destra e sinistra (tranne Forza Italia), l’abolizione decisa della Commissione contenziosa di Palazzo Madama.

Di abusi sui vitalizi ce ne sono stati eccome. Basti pensare a quelli che lo prendevano dopo essere stati in Parlamento appena per un giorno. O al privilegio di poterne usufruire, compiuti i 60 anni, dopo aver fatto anche una sola legislatura.

Eppure lo stop al taglio deciso l’altro giorno - che su un bilancio del Senato di 500 milioni ne fa risparmiare non tanti: meno di 3 - è tutt’altro che immotivato, come fanno notare tutti i migliori giuristi. 
Si può leggere a questo proposito il libro più recente e più completo uscito sull’argomento - L’autodichia degli organi costituzionali (Giappichelli editore) - o ascoltare che cosa dice Luca Castelli, uno dei giovani costituzionalisti più brillante, professore a Perugia, che ne è l’autore. «La decisione del Senato fa riferimento alla sentenza della Consulta del 2016, quella sui contributi di solidarietà, in cui gli interventi retroattivi, per essere conformi alla Costituzione, devono avere una serie di paletti. Per esempio la straordinarietà della misura e la proporzionalità». E dunque in questo caso non si può tagliare con l’accetta, indiscriminatamente e per sempre, l’80 per cento di ogni singolo vitalizio. 

Era targata M5S, ma con il favore generale, la misura draconiana per ora eliminata. Un atto ad alto tasso di favore pubblico - la casta va sempre colpita, specie quella di prima, nella logica populista - ma appunto non fondato su criteri giuridici. Tutti convergenti su un punto: non si può rendere incerto ciò che hai dato per certo. Sennò si corre il rischio, cambiando le regole in corso d’opera, d’intaccare l’affidamento alle leggi dello Stato. 

Stavolta il taglio è risultato irragionevole e il calcolo approssimativo. Poi con ogni probabilità il Consiglio di garanzia, a cui passa ora la palla, ripristinerà la misura di prima e questo perché si tratta di un consesso tutto politico e dove non ci sono i due magistrati esterni che, per regolamento, vengono inseriti dal presidente del Senato. E che sono quelli che in commissione hanno fermato il provvedimento.

E’ la questione politica quella che adesso si pone con più forza. Il blocco del taglio va ad erodere un altro dei pilastri del grillismo: il dagli alla casta, ma ormai proveniente dalla nuova casta aggrappata allo scranno di onorevoli. E paradossalmente però è anche ghiotta occasione per M5S - in crisi di idee, in pieno sfaldamento organizzativo e con il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari finito guarda caso su un binario morto - di riprendere in mano una vecchia bandiera identitaria, nella speranza di rilanciarsi. Queste difficoltà del populismo in giallo, ma anche in verde leghista, avrebbero dovuto dare al Pd il coraggio di sfidare la malafede ideologica dell’anti-politica più andante e strumentale. E invece colpisce che fulmineamente il segretario dem - tra qualche malumore interno - si sia messo in prima fila nella campagna ripartita in queste ore contro i vitalizi e che avrà il suo prolungamento unanimista e mainstream nel referendum sul taglio del numero dei parlamentari, il 20 e 21 settembre. 

Non sarebbe ora invece, per chi si dice riformista, di approfittare del collasso del grillismo per emanciparsi dalla subalternità e per far valere una cultura - ammesso che ci sia, e purtroppo non parrebbe - diversa da quella che ha imperversato senza costrutto in questi anni? La fine dell’acquiescenza di tutti alla predicazione demagogica sarebbe il vero segno di quella discontinuità di cui l’Italia ha disperato bisogno, dopo la terribile fase che ha attraversato in questi mesi.

Dietro alle larghe intese anti-vitalizi si vede a occhio nudo l’idea che la politica e il mestiere weberiano del politico, giustamente retribuito e pensionisticamente trattato come è giusto specie quando fosse il lavoro di una vita, non debbano avere la dignità e il ruolo che loro compete. Un’impostazione che già ha fatto i suoi danni. Un segnale di alt a questo andazzo è appena arrivato. Ma subito dopo è stato sommerso dal richiamo della foresta dei populisti e dei loro imitatori. Tutti intenti a lanciare ossa demagogiche alla «gente», come se fossero le brioches di Maria Antonietta. 
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