Nodo Istruzione/ Il ritorno al passato dell’autonomia differenziata

Sabato 5 Novembre 2022 di Luca Bianchi

Il cantiere sull’autonomia differenziata è stato formalmente riaperto dal Ministro per gli Affari Regionali Calderoli con l’incontro di mercoledì scorso con i Presidenti di Lombardia, Veneto e Emilia Romagna.

Se si confermano le indiscrezioni sull’incontro stiamo andando velocemente verso un’attuazione “integrale” delle proposte di autonomia: una legge di attuazione entro fine anno; la possibilità di chiedere il decentramento di tutte le materie previste, di compresa l’istruzione; l’inemendabilità da parte del Parlamento delle intese Stato-Regione; il finanziamento delle nuove competenze regionali sulla base della spesa storica in attesa della definizione dei Livelli essenziali delle Prestazioni. Si tornerebbe, in sintesi, a quattro anni fa, rimuovendo quanto avvenuto sino ad oggi sia nel contesto economico e sociale del Paese (Pandemia, Pnrr e ora gli effetti della guerra in Ucraina) sia negli approfondimenti tecnici sulle precedenti versioni dell’autonomia.


Il Paese è stato colpito, infatti, in questi anni trascorsi dall’approvazione dei referendum sull’autonomia promossi dal Veneto e dalla Lombardia nel 2017, da shock globali che hanno evidenziato i limiti di risposte frammentate a livello territoriale. Prima di tutto la pandemia che ha fatto vacillare il mito dell’efficienza dei sistemi sanitari delle regioni del Nord e ha fatto emergere l’esigenza, soprattutto nella campagna vaccinale, di strategie di programmazione degli acquisti e della logistica a scala nazionale. Se poi consideriamo le diverse competenze che richiedono le regioni del Nord, che vanno dall’energia ai trasporti, dalla politica industriale alla ricerca, appare assai difficile rendere tali “devoluzioni” compatibili con il grande piano di ammodernamento del Paese che è stato definito con le ingenti risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza finanziato dalla Ue. Ancora più anacronistica appare questa prospettiva se la confrontiamo con l’esigenza di un piano energetico nazionale, e non di diverse scelte regionali, volto a migliorare il mix energetico e a ridurre la nostra dipendenza da pochi Paesi esportatori. 


Anche nel merito delle proposte quanto emerso dall’incontro dei giorni scorsi sembra riportare la discussione al punto di partenza, riproponendo aspetti respinti non solo da molti osservatori ma da puntuali osservazioni di importanti organismi tecnici nazionali, quali il Dipartimento Affari Legislativi della Presidenza del Consiglio (Dagl) e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb), che richiamavano l’assenza di un’adeguata dimostrazione della maggiore efficienza derivante dalla devoluzione dei poteri. La stessa Commissione istituita dalla Ministra Gelmini e presieduta dal compianto prof. Beniamino Caravita aveva chiaramente sostenuto che la devoluzione di tutte le competenze richieste avrebbe determinato non autonomie differenziate, ma vere proprie nuove Regioni “speciali”. Nonostante tutto questo ora si ripropone anche la possibile concessione di competenze nel campo dell’istruzione.

Proprio con la proposta di regionalizzazione della scuola si corre il rischio di avviare un vero e proprio processo separatista: programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e meccanismi di finanziamento differenziati. Non dimentichiamo che l’istruzione è anche la voce più rilevante dal punto di vista finanziario: circa 5 miliardi di euro in Lombardia e poco meno di 3 miliardi in Veneto, una quota compresa tra il 15 e il 18% del Bilancio regionale; migliaia di docenti che transiterebbero nei ruoli della Regione con effetti sulla contrattazione nazionale e possibili differenziazioni salariali territoriali (nuove gabbie salariali). Si ripropone in sostanza il vecchio modello dell’autonomia “per chi se la può permettere” basato sui costi storici, alternativo all’attuazione ordinata del federalismo fiscale, basata su Lep e Fondo perequativo, che era prevista dalla Legge 42/2019 che, in un curioso paradosso, porta la firma del Ministro Calderoli che ora dovrebbe firmare queste intese. 


Insomma mentre la “nuova” Europa (che solo temporaneamente ha accantonato l’austerità) ha fatto sua l’idea che le disuguaglianze vanno ridotte non solo per motivi di equità ma perché la coesione aiuta la crescita, rischiamo di perseverare diabolicamente nell’illusione che la strada da seguire sia il sovranismo regionale dei più forti. 

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