Il piano che manca/ La strada in salita dei tanti ristori senza una strategia

Domenica 17 Gennaio 2021 di Alberto Brambilla
Il piano che manca/ La strada in salita dei tanti ristori senza una strategia

La Pfizer si era impegnata a fornire all’Italia 470 mila dosi di vaccino a settimana, ma con una decisione unilaterale la multinazionale americana ha deciso di ridurre il quantitativo di un 30%, sicché nelle prossime 3-4 settimane ne arriveranno 136.200 in meno.

La notizia aggrava la situazione nel nostro Paese che, nonostante una buona partenza (oltre un milione di vaccinati con la sola prima dose al 16 gennaio), aveva comunque davanti a sé un orizzonte problematico. Tant’è che il piano messo a punto dal governo, visibile sui siti istituzionali e aggiornato al 12 dicembre, non fa previsioni numeriche sui vaccinati mese per mese, ma indica per il primo trimestre 2021 la fornitura di 28,269 milioni di dosi; di queste, 16,155 milioni dovrebbero essere assicurati da AstraZeneca e altri 2,019 milioni da Bayer-CureVac. Che però non sono ancora approvati dalle Agenzie del farmaco, per cui per i primi tre mesi dell’anno l’Italia avrebbe potuto contare solo su poco più di 10 milioni di dosi tra Pfizer e Moderna, che però a questo punto si ridurranno di almeno 600 mila.

Questo vuol dire che in attesa che gli accordi tra Pfizer e altre aziende produttrici come Sanofi-Gsk consentano un recupero delle forniture, nei primi tre mesi dell’anno potremo vaccinare solamente 4,7 milioni di persone e non i 6,4 milioni indicati nel piano (1,4 milioni tra medici e infermieri, 570 mila tra personale e ospiti delle Rsa e 4,4 milioni di over 80). Per farla breve, e considerando che la fiala Pfizer contiene sei dosi rispetto alle cinque di Moderna, ad essere ottimisti a fine marzo avremo meno di 5 milioni di italiani vaccinati di cui una parte ancora in attesa della seconda dose (nel caso dei vaccinati Pfizer) e che perciò solo in aprile avranno sviluppato gli anticorpi. 
Sicché, nell’auspicio che i già contagiati e guariti (circa 2,3 milioni) abbiano ancora gli anticorpi, avremo circa 7 milioni di italiani - pari all’11,6% della popolazione - temporaneamente immuni. Diciamo temporaneamente perché nessuno è oggi in grado di assicurare che anticorpi e vaccino durino oltre gli otto mesi. Ad essere prudenti, ciò significa che questi soggetti saranno da rivaccinare a novembre. Ma se vacciniamo 5 milioni di italiani al trimestre, per avere almeno il 65% della popolazione immune - la cosiddetta immunità di gregge - occorreranno ben 8 trimestri cioè 24 mesi: un tempo insostenibile sia per lo stato dell’economia nazionale sia per le finanze pubbliche. E’ vero che da marzo dovremmo disporre delle forniture complete di AstraZeneca, ma come abbiamo visto si è ben lontani dalla situazione ideale. 

Come diretta conseguenza, è pressoché certo che non riusciremo a centrare l’obiettivo del 5% di incremento del Pil come previsto dal governo; e tantomeno si riuscirà a mettere un freno alla forte ondata di disoccupati, il cui costo per le casse pubbliche salirà vertiginosamente. Per non dire del costo del debito, destinato anch’esso a salire ben oltre i rimedi che oggi pone in essere la Bce: e allora, altro che Grecia. 

Del resto, se il governatore della Banca d’Italia si è sbilanciato a prefigurare un’ipotesi di crescita zero nella visione peggiore, qualcosa vorrà pur dire. E comunque, sommando tutti i vari ritardi che il nostro Paese sta accumulando, bene che vada rischiamo di perdere fino a 56 miliardi in termini di Prodotto lordo. 

Il fatto grave è che tutti, maggioranza e opposizione, non fanno che parlare di “ristori” mentre ai piani di crescita e di rilancio che tengano conto del dramma delle categorie commerciali più punite si dedicano poche e distratte parole. Certo, abbiamo il Recovery Plan che tante opportunità è in grado di offrire, ma se il buon giorno si vede dal mattino - lo scontro in seno al governo è quanto di peggio ci potesse capitare - rischiamo di ricavarne solo danni, per noi e per l’Europa. Non a caso Bruxelles ha cominciato a lanciare i primi segni di insofferenza.

Quanto ai settori commerciali più penalizzati dai provvedimenti restrittivi (si pensi ai bar, ai ristoranti, agli alberghi) e che stanno creando drammi veri in decine di migliaia di famiglie, occorre prendere atto che dovremo convivere con questo virus ancora molti mesi; per questo serve uno scatto del governo che passi dalla difesa passiva a quella attiva. Cominciando ad attuare una politica più aggressiva sul fronte dei vaccini, che consenta di vaccinare almeno 5 milioni di italiani al mese onde arrivare a giugno con almeno 30 milioni di vaccinati. Occorre inoltre alzare il tiro con le multinazionali del vaccino, usando gli anticipi del Recovery Fund per competere ad armi pari con i Paesi finanziariamente più attrezzati. Ciò dovrebbe andare di pari passo con la riorganizzazione della sanità territoriale, attrezzandola affinché si possano effettuare almeno 2 milioni di tamponi a settimana per ridurre la circolazione del virus, stante la lentezza dei vaccini: più positivi si trovano e prima si uscirà dal tunnel. Il tutto andrebbe finalizzato a una rapida ripartenza dell’economia.

Nel frattempo chi guida il Paese dovrebbe mettere ordine nelle regole restrittive, razionalizzando aperture e chiusure in modo che, vista da fuori (ma anche da dentro), l’Italia non sembri un Paese di squilibrati, con luoghi esterni sovraffollati ed esercizi sanificati e con distanziamento regolare cui viene imposto il coprifuoco. Tra l’altro, vista l’estensione del contagio, sempre meno senso sembra avere il divieto di spostamento tra le regioni. Anche questi sono costi che alla fine incideranno sul Pil. E sul debito che trasmetteremo ai nostri figli e nipoti. 

Ultimo aggiornamento: 10:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA