Giustizia in panne/ La riforma che elimina gli alibi dei tribunali

Domenica 25 Luglio 2021 di Carlo Nordio

Com’era prevedibile, il progetto di riforma della ministra Cartabia ha provocato una rapsodia di critiche di una parte della magistratura, che ha agitato lo spettro dell’impunità di terroristi e mafiosi.

La sesta commissione del Csm, a maggioranza, ha sparato a zero sulla improcedibilità dei giudizi troppo lunghi, ed è stata giustamente bacchettata da Mattarella che l’ha considerata quantomeno intempestiva. Gli avvocati, dal canto loro, hanno accusato il progetto di eccessiva timidezza. Senofane diceva che ognuno si dipinge gli dei a propria immagine, e che se un triangolo potesse pensare descriverebbe Dio fatto a triangolo. I pm e i difensori vedono la realtà giudiziaria attraverso la lente deformante dei propri pregiudizi. 


In realtà, come abbiamo già scritto, questa riforma costituisce il minimo sindacale per ottenere gli aiuti dall’Europa. La lentezza della nostra giustizia è intollerabile non solo dal punto vista etico e normativo, ma soprattutto da quello economico. La sciagurata legge voluta da Bonafede l’avrebbe resa eterna, e l’Europa non l’avrebbe tollerata. Con un colpo di genio Cartabia, non potendo cancellare questo mostro della prescrizione senza umiliare i grillini, è intervenuta sul binario parallelo. Formalmente il mostro rimane, ma è reso innocuo: se infatti entro un termine ragionevole non arriva la sentenza, il processo si estingue. Chapeau. 

Questo non significa che il progetto del governo sia risolutivo. La lunghezza dei processi penali ha infatti un’unica madre: la sproporzione tra i mezzi e i fini, tra le risorse disponibili e i reati perseguire. Questi ultimi sono un numero enorme, e spesso riflettono comportamenti che potrebbero esser sanzionati senza scomodare i tribunali. Purtroppo, anche se tutti auspicano una loro riduzione, quando si arriva al dunque il legislatore - vedi la legge Zan - sa solo crearne di nuovi. Per di più esiste il vincolo dell’obbligatorietà dell’azione penale, che costituisce non solo una contraddizione con il sistema accusatorio, ma un pretesto per alcuni pm per inventarsi indagini lunghe e costose che non approdano a nulla. Ma quando si è prospettato di monitorare questo rapporto tra risorse impiegate e risultai ottenuti, gli stessi pm hanno protestato ritenendosi vulnerati e offesi nella propria autonoma. Diciamo la verità: per la parte più vociferante delle toghe la cose vanno bene come sono, e se vanno male è colpa del governo che non dà abbastanza soldi e degli avvocati che la tirano per le lunghe. Ora per la prima volta, un ministro della Giustizia ha alzato il velo dell’ipocrisia: lo status quo - ha detto Cartabia - non è un’ opzione sul tavolo. E Draghi ha annunciato che porrà la fiducia. 


Ma la reazione stizzita del sindacato dei magistrati non è motivata solo dalla preoccupazione per l’esito dei processi. Se così fosse, questa stessa Associazione sosterrebbe le riforme essenziali, come quella di valutare i pm che sottraggono risorse enormi per imbastire indagini fasulle. Una delle ragioni di questa opposizione risiede nel timore che si elimini il loro alibi tradizionale, che cioè la lentezza dipende da tutto fuorché da loro. Invece numerosi studi hanno dimostrato, e la stessa Cartabia l’ha ricordato, che a parità di condizioni alcuni Uffici impiegano metà tempo rispetto ad altri per definire una causa. E questo non dipende solo dal groviglio di leggi e dalla pletora di reati, ma anche dall’incapacità di gestione da parte dei giudici. Non è del tutto colpa loro: in magistratura si entra dopo prove severissime che comprendono tutto lo scibile giuridico, ma mancano due esami fondamentali: quello psichiatrico, o almeno psicoattitudinale, e quello di analisi dei tempi e metodi di gestione: cioè la capacità di valutazione delle risorse disponibili in rapporto al target prefissato, al fine di programmare il lavoro secondo criteri di razionalità ed economia. Mentre oggi un giudice può essere, e spesso è, un ottimo giurista, che tuttavia difetta di quelle doti cosiddette manageriali senza le quali un ufficio collassa. E poiché spesso la direzione di quest’ultimo è assegnata non ai magistrati più efficienti ma ai meglio raccomandati, secondo il noto sistema Palamara, la durata dei processi dipende anche dalla pessima scelta fatta ieri da quello stesso Csm che oggi si oppone alla riforma. 


Anche questo dunque è un merito del progetto Cartabia. Non sarà risolutivo, perché i problemi della giustizia penale sono così sedimentati da esigere una rivoluzione copernicana: ma è un importante esempio di coraggio innovativo. Come quello di Neil Armstrong sulla Luna: un piccolo passo verso una giustizia giusta, ma un balzo enorme nella giusta direzione. 

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