Il campo largo/ Il nemico (inventato) di chi non ha programmi

Lunedì 6 Marzo 2023 di ​Alessandro Campi

La liaison fiorentina in piazza tra la nuova segretaria del Pd Elly Schlein e il M5S guidato da Giuseppe Conte, avvenuta con la benedizione del capo della Cgil Maurizio Landini, ha sollecitato negli osservatori diversi interrogativi.

Il più importante dei quali non è se si sia trattato dell’inizio di un’alleanza politica. La costruzione del cosiddetto “campo largo” diamola a questo punto per scontata, se non altro per ragioni tattiche e di reciproca convenienza. Col centrodestra che non si divide a dispetto delle previsioni degli avversari, e che unito continua a vincere, il centrosinistra - per tornare ad essere almeno competitivo - può solo provare a compattarsi. La questione vera, considerate le distanze abissali sin qui esistite tra i due partiti su molte questioni essenziali, è su quali basi in senso lato ideologiche essi cercheranno una saldatura. 

L’opposizione in chiave neutralista-pacifista al coinvolgimento dell’Italia nella guerra russo-ucraina? La mobilitazione sul tema dei diritti civili soggettivi al grido di “progressisti di tutto il mondo, unitevi”? Il perseguimento di una sorta di fondamentalismo verde-ambientalista venato di anti-capitalismo, di catastrofismo da fine del mondo e di arcadia post-industriale? L’immigrazionismo di massa come strumento per la costruzione della società futura cosmopolitica? Nell’attesa di chiarirsi le idee, magari anche su altri temi più prosaici, dalle politiche sul lavoro alla giustizia, dalle tasse all’autonomia differenziata, per il primo abbraccio simbolico tra Pd e M5S si è scelto quella sorta di usato sicuro ideologico, emotivamente coinvolgente e di facile vendibilità mediatica, rappresentato dall’antifascismo: quello definibile oggi liturgico-militante, puramente enfatico-celebrativo, per distinguerlo da quello storico-politico del passato, di ben altro spessore e rigore.
A Firenze tutta la sinistra si è dunque unita contro il dilagare della violenza squadristica e il ritorno del fascismo. Ma, ci si chiede, è una lettura realistica di quel che sta accadendo in Italia o una drammatizzazione strumentale ad uso puramente interno? Ci si rivolge agli italiani per avvertirli di un grave pericolo collettivo o ai propri elettori frustrati dalle continue sconfitte? È in gioco la civiltà o la propria sopravvivenza elettorale?

Domande contingenti che sollecitano una questione più generale. L’antifascismo è il fondamento morale e ideologico della Costituzione repubblicana. La Costituzione repubblicana, che per definizione di tutti, va oltre le appartenenze politiche e le divisioni partitiche. Perché allora la sinistra - come si è visto appunto con la manifestazione di Firenze - continua a rivendicare una sorta di monopolio politico sull’uno e sull’altra, immaginando che tocchi solo a lei difenderne i valori e le idealità contro le minacce provenienti dalle destre variamente intese? Le minacce più o meno reali del passato, quelle immaginarie o ingigantite ad arte di oggi.
La pretesa della sinistra di ergersi a custode unica della democrazia è antica. È nata nell’immediato secondo dopoguerra e si è spesso indirizzata, nemmeno troppo paradossalmente, anche contro gli altri partiti del campo antifascista: dalla Democrazia cristiana ai suoi alleati laici. Il loro anticomunismo era ciò che agli occhi della sinistra li rendeva oggettivamente prossimi all’autoritarismo mussoliniano. Un trucco, quello di considerare l’anticomunismo una forma di fascismo mascherato invece che l’altra faccia, proprio insieme all’antifascismo, dell’antitotalitarismo liberal-democratico, al quale si è ricorso per decenni. Lo si è utilizzato con successo anche per delegittimare Silvio Berlusconi dopo la fine della Prima Repubblica.

Va da sé che tale pretesa ha avuto un senso storico concreto sino a che è esistito un partito politico, il Movimento sociale italiano, che esplicitamente si richiamava all’eredità del Ventennio. Partito la cui funzione storica, dal punto di vista dei suoi avversari riuniti del cosiddetto “arco costituzionale”, in fondo è stata proprio questa: rivestire il ruolo della parte maledetta e impresentabile, della forza marginale e antisistema, sentimentalmente legata alla dittatura e ai suoi simboli, contro la quale mobilitarsi, sotto l’ombrello dell’antifascismo, a difesa dell’ordine democratico tutte le volte che lo si riteneva in pericolo.
Le cose sono radicalmente cambiate, a partire dai primi anni novanta del Novecento, con la nascita di una destra sempre più estranea per dottrina e prassi, oltre che per ragioni generazionali e di clima storico-culturale, al fascismo e alle sue memorie. 

Ai tempi di Alleanza nazionale e di Gianfranco Fini la si è definita post-fascista, per indicare una rottura col passato soprattutto temporale. Oggi, con riferimento a Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni, si tende invece ad etichettarla come nazional-conservatrice, per evidenziarne una fisionomia ideologica non più riconducibile ad una matrice anti-democratica, dittatoriale o eversiva. Un cambiamento per molti versi storico, che ha avuto come effetto, tra gli altri, di scombinare le carte della sinistra, come si è visto anche di recente. Da un lato abbiamo infatti un antifascismo che avendo perso il suo nemico oggettivo e reale rischia di doverselo ogni volta inventare, senza nemmeno riuscire troppo credibile, in una forma disincarnata e anti-storica. 

La verità è che il fascismo come forza politica o storica minimamente minacciosa per la democrazia non esiste più e non si possono considerare sue permutazioni contemporanee, come ci si ostina a fare, fenomeni o tendenze ideologiche affatto diverse quali ad esempio il populismo o il sovranismo. Dall’altro, se anche la destra arriva a fare interamente suoi i valori della Costituzione repubblicana, come è appunto accaduto, viene definitivamente meno quella pretesa di monopolio o di esclusiva su di essi che la sinistra ha sempre rivendicato per sé. In altre parole, la destra democratica e repubblicana non può più essere discriminata in nome dell’antifascismo. Ai manifestanti di Firenze sembra essere del tutto sfuggito questo cambiamento di scenario politico, il che da un lato spiega l’effetto quasi anacronistico di certi slogan o discorsi sentiti in quella piazza, dall’altro suggerisce l’idea che l’unità delle opposizioni di sinistra all’attuale governo - certamente utile per garantire una corretta dialettica parlamentare - per essere efficace e credibile, in primis agli occhi degli stessi elettori di sinistra, probabilmente dovrebbe costruirsi su basi più solide realistiche.
Con gli allarmi sul pericolo fascista, tolti i titoloni ad effetto della stampa politicamente amica, si rischia di fare davvero poca strada. 

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