Mihajlovic/ Coraggio e fragilità: il destino in comune con gli eroi del ‘74

Sabato 17 Dicembre 2022 di Alvaro Moretti
Mihajlovic/ Coraggio e fragilità: il destino in comune con gli eroi del ‘74

Come fai a non pensarci, adesso? Adesso che anche Sinisa Mihajlovic se l’è preso quel male.

Muore nella stessa clinica in cui si spense, dopo un’altra rinascita che era stata illusione, Tommaso Maestrelli. Maestrelli e lui lasciano tutti a 54 anni (la vita di Tom è durata solo quattro mesi in più). E come l’allenatore più amato dai laziali, cento anni quest’anno, un passato breve e di scarso successo nella Roma e poi solo gloria nella Lazio. E lo scudetto a sorpresa, una vittoria da impazzire: nel 1974 come nel 2000.

Allora dalla sua stanza di degenza alla Collina Fleming Tommaso osservava Wilson e gli altri allenarsi con il binocolo. Mihajlovic a Bologna aveva i tablet per queste cose. A Sinisa il destino non ha concesso un ritorno che forse solo lui avrebbe voluto: è stato vicino al ritorno alla Roma, da allenatore. Non si sarebbe fatto tanti problemi: “Ho vissuto due guerre vere, avrei sopportato gli insulti come ho fatto sempre”. Ma il filo che lo legava a Roma è comunque laziale anche per il dramma della malattia. Ha girato tante squadre, non ha mai girato intorno: “Sono tifoso biancoceleste”.

Una singolare sintesi di destini belli e maledetti, di abbracci e lacrime quella che unisce alcuni eroi di queste epopee: in campo, infatti, Sinisa era un... Chinaglia. Giocatori con il coraggio di prendere anche le strade sbagliate per non arretrare: guasconi e fortissimi, sfrontati e provocatori fino a varcare i limiti dell’autolesionismo. Come catalogare l’amicizia di Miha con uno come Arkan, il criminale di guerra serbo cui fece dedicare uno striscione dalla curva Nord? O immaginare il gesto provocatorio di indicare la curva nemica dopo un gol segnato in faccia o mandare a quel paese un ct in mondovisione (e questo lo fece Chinaglia, nel 1974).

Gente, quelli come Sinisa e Giorgione, che si sono sempre assunti le responsabilità delle scelte: avrà giovato alla carriera di Sinisa presentarsi in campo a Roma con il disegno di un bersaglio sulla maglia quando Belgrado era bombardata dalla Nato? O dire tutta le verità quando scoppiò il putiferio in campo in Champions League con Vieira (diventò anche suo allenatore all’Inter)? No, ma Sinisa le cose le diceva e le faceva. Miha ammette e si prende la squalifica: "Gli ho detto negro di m. perché lui continuava a dirmi zingaro di m." No, non gli ha giovato, ma a dire la verità e presentarsi sempre con il mirino in petto ha significato tanto per i compagni, i tifosi e anche gli avversari.

Uno capace di reinventarsi tante volte nella vita partendo sempre dal suo piede sinistro, ma a scuola era così secchione da aver imparato, per non subìre punizioni, come fare tutto anche con il destro. Quel piede sinistro, però, gli ha regalato il record di punizioni segnate della serie A. Centrocampista offensivo, ala, difensore centrale: sempre leader.

Anche nella malattia: lui, che serioso non è stato mai, si è fatto serio. Ha lasciato lo spazio al cuore grande da multi-papà (sei figli, un grande amore per Arianna, sua moglie) e condiviso la tenerezza che riservava a pochi: i messaggi sempre giusti, l'esempio trasmesso finché ha potuto ai suoi giocatori. E a tutto il mondo, che ora glielo riconosce con le lacrime agli occhi per una speranza spezzata di rinascita contro l'ennesimo nemico fortissimo. Stavolta più forte di tutto e di un cuore che non voleva smettere di battere.

Ultimo aggiornamento: 12:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA