L'analisi/ Iran, le rivolte del popolo e l’ipotesi di nuove sanzioni

Martedì 13 Dicembre 2022 di Riccardo Sessa

Dalle parole occorre su quanto sta accadendo in Iran passare a qualcosa di più concreto, ai fatti, le espressioni di condanna e di solidarietà non essendo più sufficienti. Come ha dichiarato il Ministro Tajani, siamo arrivati a un “punto di non ritorno” di una situazione che potrebbe sfuggire di mano a tutti e spingere le autorità a indurire ulteriormente la repressione. Le notizie sulle manifestazioni, le cifre, peraltro incomplete per difetto, sul numero delle vittime, dei condannati a morte e delle persone imprigionate e la brutale violenza della repressione con i Pasdaran e i Basj che sparano agli occhi e alle donne anche al seno e ai genitali, hanno raggiunto livelli che non possono più essere ignorati. «Il popolo iraniano merita libertà e prosperità, e la sua rivolta è legittima e necessaria per realizzare i suoi diritti». Così si è espressa Badri Hosseini Khamenei, la sorella della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, che in una lettera aperta al fratello ha invitato i Guardiani della Rivoluzione (i Pasdaran) a deporre le armi e a unirsi ai manifestanti auspicando che «la giusta lotta del popolo iraniano per conseguire la libertà e la democrazia si realizzi il prima possibile». Sono parole pesanti che danno il senso di ciò che sta succedendo e perché. 
Quello che spinge la gente per le strade è, oltre all’obbligo del velo islamico (hijab), una forte voglia di cambiamenti radicali nelle condizioni di vita da parte di una popolazione ormai esausta. Una sfida per sollecitare anche risposte a una situazione economica e sociale in grave crisi, ma soprattutto per richiedere di poter vivere in libertà. L’Iran conta oggi una popolazione di 85 milioni, più della metà è al di sotto di 35 anni e si stima che l’età media sia di 27 anni. Una parte importante dei manifestanti è quindi nata e cresciuta sotto il regime degli Ayatollah e il rigore della vita quotidiana si è scontrato con una circolazione delle informazioni che il regime non è più in grado di controllare. Al visitatore occidentale che visitava l’Iran anni fa gli iraniani cresciuti sotto lo Shah così descrivevano la vita di tutti i giorni: “Prima ci divertivamo in pubblico e pregavamo in privato; ora preghiamo in pubblico e ci divertiamo in privato”, laddove privato significava di nascosto. E’ così ancora oggi e la gente non ne può più, e lo slogan, “Donna, vita e libertà” è un programma rivoluzionario a tutti gli effetti.
Se questo è il quadro di riferimento, vi sono alcune questioni da approfondire per valutare la reale portata delle manifestazioni e capire come la comunità internazionale debba porsi. Alcuni fattori portano a ritenere che queste proteste, per la crescente partecipazione di strati più diversi della popolazione, sembrano effettivamente diverse da altre e hanno assunto la caratteristica di una vera e propria rivoluzione con l’obiettivo di un “regime change”. Questo spiega la reazione delle autorità e l’uso della forza, rendendo verosimili le voci secondo le quali gli Ayatollah si sarebbero assicurate delle vie di fuga in Venezuela. Il problema è di capire se questa rivoluzione abbia concrete possibilità di successo. Condizione essenziale è una saldatura tra tutte le componenti della società e i corpi sociali, a cominciare dai civili, i giovani ovviamente e i commercianti dei bazar, e poi auspicabilmente i militari e alcune componenti religiose. Non è strettamente necessario che ci sia un leader, tanti sono i nomi di riferimento tra vivi e uccisi. 
Nel momento in cui le proteste mostrano le caratteristiche di una rivolta permanente che resiste alla repressione più dura, il passaggio a una rivoluzione non è lungo. Questo significa che la comunità internazionale deve essere in grado di accompagnare quel processo, tenendo presente un aspetto molto importante. In Iran ogni tentativo di protesta, se serio e prolungato, presuppone, oltre a quella saldatura di cui abbiamo parlato prima, anche un costo molto elevato in termine di vite umane, quello che con un termine terribile si chiama un “bagno di sangue”, che è proprio ciò che sta succedendo. Bisogna esserne consapevoli. Ma la comunità internazionale non può più essere tiepida. Ulteriori sanzioni economiche a un popolo che da tanti anni vive in quel clima non indeboliscono il potere. Oggi si riunisce a Parigi una conferenza internazionale per la pace in Ucraina. Iniziativa importante, dal titolo un po’ ambizioso e forse prematura, nata sostanzialmente per sostenere la resistenza ucraina. Ci saranno tutti i principali attori di quella crisi, con in testa il Presidente Biden. L’auspicio è che a margine delle discussioni sull’Ucraina ci sia anche una convergenza su un pacchetto di misure più concrete e più forti nei confronti di Teheran. Ieri ne hanno parlato a Bruxelles i Ministri degli Esteri dell’Unione Europea che hanno chiesto rispetto per le aspirazioni del popolo iraniano. Bisogna avere la forza di spingersi oltre e isolare l’Iran sul piano internazionale. Ma al tempo stesso occorre trovare le modalità più opportune per far arrivare riservatamente alla dirigenza iraniana il messaggio che sono terminati i tempi supplementari e i rigori. Impresa non facile. Un tempo si citava un giudizio di Churchillsui Balcani, che a suo avviso “producevano” più storia di quanto fossero in grado di consumarne. Oggi quella valutazione si adatta al mondo intero, basti pensare alle emergenze che si stanno affrontando, dal Covid all’Ucraina, dai migranti all’Iran e agli stessi Balcani dove le tensioni tra Serbia e Kosovo sono nuovamente ai livelli più alti. Ma c’è un altro aspetto, non secondario, da tener presente. La comunità internazionale non è in condizioni di affrontare e gestire più di una, massimo due crisi alla volta, il che vuol dire che sull’Iran occorre agire in fretta. L’Italia ha sempre avuto intensi rapporti con l’Iran e con gli stessi Ayatollah con un dialogo criticamente costruttivo, senza tuttavia mai far mancare critiche e perplessità su scelte in contrasto con il comune sentire sul piano internazionale. Anche quando erano in gioco interessi. Allora pure sull’Iran facciamo sentire più forte la voce italiana.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA