Impasse governo/ Il nostro diritto ad essere informati e ben guidati

Venerdì 27 Novembre 2020 di Alessandro Campi

Vuoi l’imperfezione degli editti, vuoi la trascuranza nell’eseguirli, vuoi la destrezza nell’eluderli dei destinatari, fatto sta che la ripresa assai virulenta della pandemia ha determinato una situazione di caos dalla quale il governo in carica, politicamente sempre più debole e diviso al suo interno, fatica ad uscire.

Caos, per niente creativo, che rischia d’aggravarsi ogni giorno che passa.

Anche la nomina d’un commissario alla sanità, da destinare alla disastrata Calabria, si è riusciti a trasformare in un farsesco psicodramma. Che ha però un’origine precisa: non le complicanze della burocrazia o la mancanza di personalità adatte al ruolo, ma più prosaicamente gli appetiti contrastanti dei decisori politici del momento. 

Che non riescono a mettersi d’accordo su una carica in fondo minore, figuriamoci sul resto. Ad esempio, per restare nel tema commissariale, sui nominativi di coloro che dovrebbero sovrintendere alcune grandi opere strategiche: ossigeno per la nostra disastrata economia, se solo partissero. Ognuno degli alleati vuole piazzare i propri fedelissimi, finendo per generare impasse. Dal che si deduce che la logica spartitorio-partitocratica non è affatto terminata con la scomparsa dei grandi partiti ideologici e di massa: quelli reticolari, informali, personalistici e post-moderni che ne hanno preso il posto (M5S in testa) stanno anzi dimostrando una bulimia nell’acquisizione di cariche e poltrone, peraltro spesso affidate a loro rappresentanti di modestissimo valore, tale da far impallidire il più spregiudicato dei vecchi democristiani o socialisti. 


Ci sono poi i contrasti, da ideologici divenuti anch’essi tragicomici, sul Mes. Voluto dalla sinistra, rifiutato dai grillini (in sintonia propagandistica coi sovranisti di destra), con Conte che si barcamena come può ma come non dovrebbe. C’è un intero sistema sanitario da ricostruire su basi autenticamente nazionali, il che significa rivedere l’attuale distribuzione delle competenze (andando oltre l’esclusivismo regionalistico) e riprogettare infrastrutture, servizi e professionalità nei diversi territori. Per questo servono soldi ma non li si vuole prendere laddove sono, nel nome di una sovranità che abbiamo compromesso da tempo.
E c’è infine il balletto sul programma Next Generation Eu, del quale più che i ritardi (presenteremo le nostre proposte a febbraio, dopo aver detto che tutto era già pronto) colpiscono l’assoluta mancanza di trasparenza su chi sta decidendo che cosa (i ministeri, Palazzo Chigi, l’ennesima task force?) e la totale mancanza di dibattito pubblico-politico sul da farsi con questi soldi. 


E proprio l’opacità è l’altra faccia dell’indecisionismo del governo, che fatica anche a calcolare il numero degli “affetti primari” che potranno stare a tavola insieme per il cenone natalizio. Se guardiamo al recente passato, la pubblicità delle scelte fatte (e della loro ratio) è ciò che più ha difettato, con gli italiani che sono stati tenuti in una condizione quasi di minorità. Soverchiati da montagne di dati illeggibili e inchiodati a seguire talk show che li pseudo-informavano, schiacciati dai pareri di troppi esperti e da una pioggia di provvedimenti amministrativi (e altri ne stanno arrivando sempre nella forma dei famigerati Dpcm), ma senza che nessuna autorità centrale si sia presa la briga di fornire loro dati chiari e incontrovertibili, ovvero direttive lineari e non meramente paternalistiche (per non dire della segretezza sugli appalti connessi alla pandemia, dei verbali secretati o diffusi in ritardo, dei tanti nomi di consulenti ed esperti che spesso nemmeno si conoscono…).


Ma oltre ad una corretta informazione istituzionale, travolta dalla logica dell’emergenza e dalla tendenza ad inseguire gli eventi, è mancata appunto anche la capacità di prevedere-pianificazione, che non è un’arte da maghi ma il minimo sindacale del buon amministratore. Con le pessime conseguenze che ne sono seguite: il flop del tracciamento, le file per farsi i tamponi, i malati lasciati a casa senza assistenza (nemmeno telefonica), le terapie intensive di nuovo in affanno, gli ospedali senza personale e i medici di base senza direttive, le scuole aperte e richiuse avendo solo pensato in estate ai banchi con le rotelle, le baruffe tra lo Stato e le sue Regioni, i vaccini antinfluenzali che ancora non si trovano per tutti, ecc. Se la democrazia vive di fiducia reciproca tra governanti e governati, in queste settimane ce ne siamo giocata una bella fetta.


Ragione di più per cambiare registro al più presto. Ad esempio su come impiegare le risorse del Recovery Fund, che è la questione dirimente sulla quale – in termini di progetti e idee – l’opposizione parlamentare dovrebbe provare a dare il suo contributo in modo unitario (dopo la scelta saggia fatta ieri di votare senza divisioni lo scostamento di bilancio da 8 miliardi per sostenere le attività economiche in crisi a causa dell’epidemia). Siamo pur sempre, nessuno si offenda, il Paese del terremoto dell’Irpinia: miliardi per la ricostruzione che hanno creato solo cattedrali vuote e sottosviluppo. Stavolta ci saranno i controlli dell’Europa, che sui propri fondi esige sempre rendiconti analitici. Ma nel nostro passato ci sono stati troppi sprechi per non temere che ve ne siano di nuovi, a beneficio dei soliti predatori. Solo i finanziamenti a fondo perduto saranno 82 miliardi: un’occasione, ma anche una tentazione. Sarebbe, più che un errore fatale, una tragedia finale per un Paese che senza uno scatto d’innovazione rischia d’incamminarsi, avendo uno storico fondo mentale assistenzialista e statalista, verso un’economia fatta di sussidi, provvidenze e debito pubblico crescente. 


Ma bisognerebbe cambiare velocemente anche nel rapporto con i cittadini e nella gestione, che non può continuare ad essere rapsodica, di quel che resta della pandemia (ahimé, forse ancora molto). A cominciare dal piano di vaccinazioni di massa dei prossimi mesi. Il ministro Speranza lo ha annunciato per il 2 dicembre. Ma dovrà essere appunto un piano: tempi, modi, procedure, responsabilità. Tutto previsto in anticipo, tutto trasparente: protocolli sperimentali, costo dei vaccini, loro stoccaggio e distribuzione, le priorità da seguire nella profilassi, i luoghi dove praticarla senza resse e file. 


Non sarebbe una concessione, ma un diritto supremo dei cittadini: quello ad essere, al tempo stesso, ben informati e ben governati, laddove la prima cosa e la premessa della seconda.
 

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