I conti di Fontana/ Trasparenza lombarda a corrente alternata

Mercoledì 29 Luglio 2020 di Massimo Martinelli
I conti del governatore/ Trasparenza lombarda a corrente alternata
Ridurre la paradossale vicenda che sta investendo Attilio Fontana ad una questione giudiziaria è fuorviante. E anche riduttivo. Per difenderlo, i vertici della Lega hanno steso intorno alla sua poltrona sacchetti di sabbia pieni di frasi di circostanza: sulle inchieste a orologeria, sul sistema Palamara, sulla presunta disparità di trattamento di cui avrebbe goduto il governatore Nicola Zingaretti, nel Lazio, a proposito di quell’altra vicenda inqualificabile che è la truffa delle mascherine su cui - pure - indaga la procura di Roma.

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Il punto è che non è questo il punto. E occorre fare chiarezza affinché ci sia una visione nitida dei fatti. Partiamo dall’appalto dei camici che la ditta del cognato di Fontana si è visto assegnare senza gara. Erano i giorni dell’emergenza, i medici non avevano mascherine nemmeno per andare in corsia, c’era un bisogno assoluto di dispositivi di protezione di qualsiasi tipo. La procedura veloce era ammessa; è la stessa procedura semplificata che ha consentito ad un’altra ditta di farsi pagare dalla Regione Lazio alcuni milioni per un lotto di mascherine mai consegnato. 

Dunque, per dare l’appalto al cognato di Fontana non era necessaria una gara pubblica. Certo, che ci fosse un grado di affinità è stato taciuto e Fontana dice di non essere stato informato. Ma alla fine i camici non sono stati consegnati e - soprattutto - non sono stati pagati. 

Queste due circostanze, da sole, dovrebbero consentire al governatore di avere la ragionevole certezza che l’inchiesta su di lui non avrà grosse conseguenze. E al tempo stesso svuotano di significato le frasi dei vertici della Lega: nessuna inchiesta a orologeria, perché il procedimento potrebbe non avere consistenza. 

Se questa previsione ha un minimo di fondamento perdono di significato anche gli ammonimenti di altri strenui difensori di Fontana, che ricordano quante volte - in passato - ci si è accaniti contro sindaci, governatori, ministri e parlamentari per un avviso di garanzia, per poi, a distanza di anni, dover chiedere scusa di fronte all’archiviazione. La differenza tra quei casi e la vicenda Fontana è netta: nei primi si dava credito ad un sospetto degli inquirenti sulla partecipazione del politico di turno ad una attività punita dal codice penale; nel caso di Fontana, invece, siamo davanti a condotte deplorevoli commesse alla luce del sole, che sono gravi per chiunque abbia l’ambizione di guidare con trasparenza una regione come la Lombardia uscita malconcia dall’esperienza del lockdown e con l’oggettiva esigenza di ricostruire un’immagine di efficienza e di onestà duramente messa alla prova nei primi sette mesi del 2020.

Ancora due giorni fa, Fontana dichiarava candidamente a La Repubblica che la non indifferente somma di 5,3 milioni di euro facente parte del suo patrimonio per effetto dell’eredità ricevuta dalla mamma deceduta, «è perfettamente legale e frutto del lavoro dei miei genitori, ma è dichiarata, pubblica e trasparente, riportata nella mia dichiarazione patrimoniale pubblicata sin dal primo giorno del mio mandato sui siti regionali come la legge prevede». 

Mentre rilasciava quell’intervista, Fontana non sapeva che un altro quotidiano, Il Corriere della Sera, stava mettendo in pagina un altro piccolo scoop sulle sue condotte, anche questo rintracciabile “sui siti regionali” citati dal governatore. Si tratta della sanzione da mille euro che l’Anac, l’autority anticorruzione, ha elevato allo stesso Fontana nel 2017, per non aver ottemperato all’obbligo di trasmettere una dichiarazione con la sua situazione patrimoniale.
Si tratta dell’ennesima gaffe di un governatore che aveva già abituato gli italiani a siparietti poco edificanti, come quando provò a infilarsi una mascherina davanti alle telecamere per dare il buon esempio e la pezza di tessuto gli finì sull’occhio, facendolo assomigliare a un pirata un po’ attempato ed elegante. E con l’effetto di ingenerare il convincimento che di mascherine se ne fosse infilate davvero poche. Ha proseguito con quel bonifico da 250mila euro fatto al cognato, poche settimane fa, quando gli ha chiesto di trasformare il contratto di fornitura dei camici in una donazione (trasformazione peraltro mai perfezionata) e voleva risarcirlo con quel denaro, senza prevedere che una simile transazione avrebbe certamente insospettito gli ispettori dell’antiriciclaggio. Dalla segnalazione di quel bonifico è venuta fuori la storia del piccolo patrimonio da 5,3 milioni ereditato dalla madre, trasferito da un conto delle Bahamas in Svizzera e poi “scudato”, come fanno gli imprenditori che vogliono riportare in Italia i capitali depositati all’estero. 

In molti hanno avanzato dubbi sulla provenienza di quei fondi, anche se Fontana li attribuisce al duro lavoro della mamma dentista. I magistrati - ed è notizia di oggi - stanno facendo accertamenti, consapevoli che eventuali illeciti sarebbero comunque prescritti. E lui, il governatore che continua a rivendicare la trasparenza del suo operato, al cronista de La Repubblica che gli chiedeva se un simile capitale non fosse per caso provento di evasione fiscale, ha risposto: «Ma che dice? I miei hanno sempre pagato le tasse, mio papà era dipendente della mutua, mia madre era una super fifona, figurarsi evadere, non so davvero perché portassero fuori i loro risparmi..». 

Ora, a parte ogni considerazione che si potrebbe fare sulla conciliabilità nella psiche della stessa persona, tra l’assoluto rispetto delle regole fiscali e la volontà di costituire due trust in un paradiso off shore per custodire cinque milioni, diventa legittimo chiedere un po’ di trasparenza su quel capitale. Fontana potrebbe tacitare sospetti e malelingue in un attimo. Gli basterebbe produrre le dichiarazioni dei redditi di famiglia negli anni in cui quei capitali sono stati accumulati. In questo modo potrebbe, sì confermare con i fatti, la cifra di trasparenza rivendicata da lui e dai vertici leghisti ogni qualvolta se ne presenta l’occasione. Altrimenti si dimetta, per coerenza con quel refrain usurato (e smentito dai fatti) che indica la Lombardia come modello di trasparenza non a corrente alternata.
 
Ultimo aggiornamento: 30 Luglio, 11:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA