Regole inadeguate/Il modello Genova denuda gli alibi della burocrazia

Martedì 4 Agosto 2020 di Osvaldo De Paolini
Regole inadeguate/Il modello Genova denuda gli alibi della burocrazia
Se per far funzionare le cose devi derogare a tutte le regole che hai imposto, forse devi pensare che quelle regole non vanno. 

Infrastrutture, modello genova traina ripartenza del paese

Non sarebbe dunque più logico avere regole che funzionano e quelle applicare sempre, salvo renderle ancora più efficienti in situazioni di emergenza come il crollo del Ponte Morandi? Per quanto possa apparire banale, l’osservazione dovrebbe essere un buon viatico per tentare di dare uno sbocco costruttivo al dibattito sul cosiddetto Modello Genova, soprattutto alla luce del principio che il “derogo tutto” non è mai una buona soluzione. Si deve però partire da un presupposto sul quale tutti concordano, e cioè che l’avvio dei cantieri è la strada più immediata per rilanciare l’economia post Covid.

Le altre strade - dalla riforma della giustizia, a quella fiscale passando per la burocrazia - sebbene siano priorità massime, richiedono più tempo per produrre risultati. I grandi lavori possono invece offrire risposte immediate. E poiché le 101 opere più importanti, tra quelle pronte a partire, da sole metterebbero in moto 56 miliardi, con una ricaduta sull’economia nazionale di 217 miliardi (il 14% del Pil) e la creazione di almeno 962 mila posti di lavoro, ecco un buon motivo per avviare rapidamente una riflessione sul tema, puntando a regole concretamente percorribili. In un momento in cui l’Italia accusa 7 milioni di lavoratori in cassa integrazione, è un’opportunità che andrebbe valutata con maggiore responsabilità nelle dichiarazioni di politici e uomini di governo; e ciò indipendentemente dalla quantità di risorse che ci riserverà il Recovery Fund europeo.

Secondo Matteo Salvini, in ciò sostenuto dalla parte più esposta dei Cinquestelle, il Modello Genova - con il suo potente commissario, che agisce al di sopra di tutto e tutti - è l’unica risposta per ripartire dopo il virus, nella convinzione che quella prassi possa dare certezza di assenza di tangenti e truffe. Al contrario, la ministra Paola De Micheli (che ha seguito in prima linea l’operazione) e con lei la parte preponderante dell’imprenditoria privata, giudica pressoché irripetibile l’esperienza. Il dibattito è aperto.

Sia chiaro, l’inaugurazione del nuovo ponte è uno di quegli avvenimenti dei quali è giusto essere fieri in modo pieno e incondizionato. Quel chilometro di acciaio e cemento che unisce due snodi fondamentali della città, costruito in tempi cinesi, è una bella risposta alla tragedia del Ponte Morandi che - non va mai dimenticato - causò la morte di 43 esseri umani; ma è anche una dimostrazione concreta delle potenzialità del nostro Paese, a dispetto del “darsi di gomito” cui di tanto in tanto abbiamo assistito durante i vertici dei Grandi dell’Occidente. E tuttavia non dobbiamo dimenticare che il miracolo si è compiuto in circostanze eccezionali.

L’onda emotiva sollevata da quella grave sciagura ha generato uno strumento legislativo del tutto eccezionale, fatto per semplificare e velocizzare il percorso della nuova opera, eliminando ogni controllo pubblico e lasciando mani libere al commissario straordinario - il sindaco della città, Marco Bucci - che ha così potuto affidare la realizzazione dell’opera senza gara e assegnando la progettazione per scelta nominale. L’urgenza di ricostruire ha annullato tutte le procedure standard: nessun controllo sui prezzi, nessuna verifica anti-mafia, nessuna Via, nessuna regola europea sugli appalti. Sia chiaro, il commissario Bucci ha fatto buon uso di questa eccezionale deroga, e di ciò dobbiamo essergli grati. Ma è immaginabile questa prassi applicata su larga scala? Chi invoca ispirato il Modello Genova, auspicando una sua applicazione a livello nazionale, finge di non sapere in quale Paese vive e sembra ignorare quali sono le insidie e le pressioni che si muovono intorno a qualunque appalto.

L’istituzione della gara per l’assegnazione dei lavori, con le sue regole e i suoi divieti, è una garanzia per tutti: per l’imprenditore, per i suoi dipendenti, per i cittadini che usufruiranno di quell’opera, per i contribuenti che avranno certezza dei prezzi e della destinazione dei loro denari. Infine, per la credibilità dello Stato, che però ha il compito di far rispettare quelle regole.

Sicché il Modello Genova dovrebbe sì servire d’esempio, ma per i brillanti risultati che ha prodotto, non per le deroghe che li hanno resi possibili. Il discorso andrebbe perciò capovolto, partendo dalla valutazione dei risultati e ponendosi domande su come fare e con quali regole arrivarci senza deroghe. Naturalmente il tema burocrazia, in gran parte responsabile del declino che da quasi trent’anni costringe il Paese all’angolo, va affrontato insieme e con determinazione: senza autentica collaborazione da parte dell’apparato pubblico, anche la regola meglio pensata avrebbe ben poca applicazione.

In questo senso il cosiddetto Decreto Semplificazioni, che nelle promesse del premier Giuseppe Conte avrebbe dovuto sbloccare il Paese, si sta rivelando inadeguato su molti fronti. Certamente su quello degli appalti: sia perché ha semplificato ben poco delle certificazioni richieste alle aziende, sia perché assegnare parte dei lavori attraverso procedure non competitive sarà sicuramente fonte di arbitrii e ingiustizie che finiranno per intasare ulteriormente i tribunali. Con buona pace del Modello Genova.
Ultimo aggiornamento: 16:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA