Tendenza Draghi/ I silenzi eloquenti che migliorano la nostra politica

Mercoledì 3 Marzo 2021 di Mario Ajello
Tendenza Draghi/ I silenzi eloquenti che migliorano la nostra politica

Lo spettacolo del potere scade spesso nella fiction.

O nello storytelling (oddio, che parolaccia!). O nell’esibizione narcisistica di chi regge il governo. Nulla di tutto questo si è registrato in occasione del primo Dpcm della nuova stagione politica e nella maniera in cui è stato illustrato. L’assenza di Mario Draghi nella conferenza stampa di ieri sera è un segno di rispetto istituzionale, di una concezione non personalistica della cosa pubblica, di una cultura finalmente allergica alla comunicazione emozionale. Questo è il fatto, questa la sua descrizione: e i due ministri interessati, Speranza e Gelmini, più i tecnici Locatelli e Brusaferro, spiegano il nuovo Dpcm. Con parole sobrie e non troppe. 


Ecco, si può governare senza spumeggiare. Restando fuori dal teatrone che dall’inizio della Seconda Repubblica sembrava connaturato alla neo-politica. E invece, no. Si può parlare meno e con il linguaggio della concretezza. Si può uscire dal festival da Dpcm - con il traffico di decine di bozze spifferate in anticipo e continuamente cambiate in corso d’opera producendo incertezza e caos: e stavolta nulla di questo c’è stato - e provare con successo, almeno per ora, a indicare una direzione di marcia a cui i cittadini possono fare riferimento senza bombardamenti propagandistici. 


Draghi c’è, eccome, in questo provvedimento che porta la sua firma e condensa il suo approccio. Ma non è detto che l’artefice sia per forza anche l’attore del Dpcm. Non c’è bisogno dell’auto-celebrazione a reti unificate in occasioni simili. Anzi, l’autorevolezza di un premier si misura anche sulla base del senso della misura. E il non protagonismo spicciolo va registrato come una forma di discontinuità. Che spiazza tutti quelli, per esempio nel Pd, che sotto sotto ma neanche tanto sotto si auguravano di vedere riprodotta la politica di prima con altre mani e già cominciavano a dire: «In fondo, Draghi non fa che continuare su tutto la strategia di Conte». Ma figuriamoci. La presentazione dei Dpcm nell’ultimo anno somigliava ad happening. Serviva a misurare la popolarità del premier e a vederla rispecchiata, in interminabili nottate di retorica di Palazzo Chigi, nei like e nei commenti social. 


Ora questa nuova comunicazione non direttamente personalizzata non è in controtendenza soltanto rispetto alla stagione appena trascorsa. Promette di essere una rottura nei confronti dell’andazzo pluridecennale in cui l’essenzialità espressiva veniva considerata algida e respingente e il leader doveva essere una popstar o diventarlo: anche con risultati comici come nel caso di Monti che tracannò un maxi boccale di birra in tivvù e cullò tre le sue braccia il cagnolino Empty. Sembrava impossibile sottrarsi al circo e chi, ma forse nessuno, si azzardava a smarcarsi era considerato fuori moda. Eppure, ci sono silenzi comunicativamente eloquenti che in politica valgono assai più della continua sovraesposizione mediatica. Come insegna Angela Merkel la quale, guarda caso, governa da tantissimo tempo.
Se in questa fase, come parrebbe, parleranno i fatti (insieme ai numeri) e si affermerà il metodo einaudiano del «conoscere per deliberare», il galoppante discredito della politica potrebbe rallentare la sua corsa. L’importante è decidere sulla base del discernimento e non servono recite. Proprio come è stato in questi giorni - Draghi lo sparigliatore - così ritmati ma senza musica neppure di sottofondo: fuori Arcuri, dentro Gabrielli e Curcio, e poi anche il generale Figliuolo; campagna anti Covid centralizzata nelle mani della Protezione civile; e insomma un cambio di passo sulla pandemia e sul resto, al netto di qualsiasi sparata nei media o di vuote enunciazioni da «faremo», «ci impegneremo a fare», «stiamo elaborando un piano per...». 


Draghi non ha detto alcunché sul Dpcm, e come informa la portavoce del premier il far parlare i ministri al suo posto «rappresenta lo spirito di squadra con cui il presidente opera». E neppure ha proferito pubblicamente parola all’ambasciata italiana presso la Santa Sede, sempre ieri, accogliendo i cardinali Parolin e Bassetti per la celebrazione dei Patti Lateranensi. E’ previsto un suo discorso in Senato il 24 marzo, in vista del Consiglio europeo del 25 e 26. C’è chi teme che, prima di allora, non apra bocca. E c’è chi invece se lo augura. Diventare laconici, ma sostanziosi, in un mondo sovraffollato di suoni, sarebbe l’unica rivoluzione sperabile. E quante cose accadrebbero in politica, se non ci fossero le parole.

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